Cursi: altra batosta: i tecnici privano il ceto medio della sanità pubblica

5 Lug 2012 20:58 - di

Con un colpo di scena rispetto alle bozze circolanti, il testo di riqualificazione della spesa dello Stato, ieri approdato al Consiglio dei ministri, prescrive che gli ospedali entro i 120 posti letto vanno chiusi entro ottobre. Non è il solo provvedimento a scatenare le ire delle Regioni su questi tagli  «insopportabili». La scure del governo «non è la strada giusta», sostiene il senatore Cesare Cursi che è presidente dell’Osservatorio Sanità e Salute del Pdl, oltreché presidente  della commissione Industria a Palazzo Madama.

Senatore, il testo era stato presentato come una riorganizzazione del settore. Invece?

Invece rischia di togliere al ceto medio la sanità pubblica, che farebbe un salto indietro di trent’anni se verranno confermate talune decisioni.

Perché, qual è il rischio più immediato?

La riduzione dei crediti e delle convenzioni significa tagliare l’assistenza a chi ne ha più bisogno, anziani, disabili, categorie fragili. Comprendo che vadano fatti i tagli, ma non con l’accetta, perché la strada deve essere quella di ottimizzare le spesa del settore. Così, si rischia di tornare a una discriminante ricchi/poveri tra chi potrà permettersi un’assistenza privata e chi no. Per uno come me che è un fan della sanità pubblica…

La sanità è sempre un punto dolente, sempre nell’occhio del ciclone. Da dove nascono tutti problemi?

La riforma del Titolo V, voluta dalla sinistra, ha creato dei mostri a livello di sanità regionali: 21 sanità diverse, con trattamenti differenti l’una dall’altra. Come si sa, non tutte le Regioni hanno gestito le competenze e i poteri in maniera virtuosa. Al punto di arrivare a considerarsi fortunati a vivere in una Regione invece che in un’altra. Dunque, il titolo V dovrà essere riconsiderato alla luce di un nuovo rapporto tra Regioni e Stato. Lo Stato deve poter intervenire e incidere per dare univocità di trattamento a tutto il settore.

Quindi, cos’è accaduto in questi anni?

Ha prevalso un atteggiamento troppo permissivo verso le strutture pubbliche riguardo l’acquisto di beni e servizi. È mancato un controllo reale sugli atti, sulle spese e sulla intera gestione del sistema sanitario. I tecnici al governo se ne accorgono solo oggi, ma il vizio è annoso. Ora hanno deciso di fissare i prezzi standard mentre finora non si capiva perché una siringa dovesse avere prezzi diversi in Campania e in Veneto. Un elemento positivo contenuto nei provvedimenti è l’aver fissato appalti unici per ogni Regione, sull’esempio del governatore Renata Polverini che in questo modo sta riuscendo ad arginare la situazione pesante ereditata della sanità del Lazio.

I costi sono stati lasciati lievitare colpevolmente?

L’aver consentito troppi ricoveri impropri, che hanno un costo dai 1000 ai 1200 euro al giorno ha inciso enormemente sui bilanci. Si può avere una sanità eccellente mantenendo un rigido controllo dei conti, che in passato è venuto meno.

Secondo lei gli interventi di spending review del governo ovvieranno a queste lacune?

La sanità andrebbe pensata in maniera diversa. Siamo di fronte alla necessità di ripensare un sistema che non garantisca più “tutto a tutti” ma solo “tutto quello che realmente serve a chi ne ha veramente bisogno”. Se consideriamo che un ricovero su tre è inappropriato e che circa il quaranta per cento degli esami diagnostici e di laboratorio sono inutili, abbiamo già dato una prima risposta alle nostre domande. Ma se, così come sembra, i tagli dovessero incideranno sulle fasce più bisognose in termini di servizi e assistenza, il Pdl farà di tutto per emendare, correggere, integrare laddove si deve. Perché, almeno a giudicare dalle bozze in circolazione, si rischia di mettere in discussione il concetto stesso di sanità pubblica.

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