Scuola mediocre e scuola del merito

7 Giu 2012 20:32 - di

La prima pagina del Manifesto di qualche giorno fa era un capolavoro di propaganda ideologica: c’erano dei bambini con dei cartelli appesi al collo, sui cartelli c’erano dei numeri, e il titolo era: “Non me lo merito”. I piccoli alunni, cioè, non meritavano che si facesse una classifica sul loro profitto. Si intendeva, con la scelta di quella foto, contestare il “pacchetto merito” annunciato dal ministro Profumo, dire che in pratica non si possono fare graduatorie tra gli studenti, che sarebbe un ritorno ai buoni e cattivi scritti col gesso sulla lavagna. Ma gli scrutini si fanno lo stesso, ci sono i bocciati, i rimandati, i brutti voti. Ma si deve fare finta che questo meccanismo, insostituibile, sia “altro” dalla scuola vera, mentre è parte della sua sostanza. È accaduto che il dibattito sul merito ha fatto venire a galla una certa insofferenza culturale della sinistra verso il concetto di “merito” come se esso dovesse per forza e in qualunque forma incanalarsi verso una scuola da libro Cuore, con i discoli messi in ginocchio sui ceci e il maestro riverito e temuto che distribuisce bacchettate. Un vizio, se vogliamo, speculare a quello di certa destra che addossa ogni colpa del disastro scolastico ai sessantottini.
Lo stesso ministro, del resto, dinanzi alla levata di scudi del Pd e dei sindacati, ha fatto una mezza marcia indietro: il pacchetto è stato rinviato (nel consiglio dei ministri di ieri non ce n’era traccia) e probabilmente non sarà contenuto in un decreto ma in un disegno di legge. Non solo, messo a confronto nel salotto di Ballarò con chi criticava il suo provvedimento, Profumo ha dovuto assaggiare anche un po’ del linguaggio residuale di quella retorica secondo cui il problema della scuola si risolve solo investendo più risorse: emeblematico, in questo senso, l’intervento di Debora Serracchiani, per la quale la parola “merito” non è quella da usare qaundo si parla di scuola. Ma il perché non l’ha spiegato, o meglio l’ha dato per scontato. E proprio quando il merito viene invocato per gli incarichi pubblici, per le candidature, per la carriera in politica. Solo nella scuola, a quanto pare, l’argomento suscita diffidenza, fastidio, ostilità.
Ma non sono stati solo i politici a dare addosso a Profumo. Lo ha fatto anche Alberto Asor Rosa dalle colonne di Repubblica. Un intervento dal titolo inequivocabile: «Che condanna essere stato il primo della classe». Asor Rosa osserva che tra la visione della scuola di Profumo e la sua c’è un abisso, «anzi un antagonismo insormontabile. L’idea che si migliora la scuola trasformandola in una corsa a ostacoli è letale…». Secondo lui una classe si deve tirare su tutta insieme, bravi e meno bravi, perché solo così escono fuori le “eccellenze”. Ma davvero parlare di merito è così letale? Davvero una borsa di studio ai più bravi deprimerebbe i meno bravi? Davvero i più bravi si devono qausi vergognare come un tempi si vergognavano quelli “somari”?E non sarà proprio l’inconciliabilità ideologica tra le diverse idee della scuola a fare in modo che proprio questa istituzione soffra per la mancanza di un cambiamento che la lascia a vivacchiare in sonnolenza salvo qualche risveglio isterico ogni volta che un ministro prova a lasciare la sua impronta a viale Trastevere con una riformetta? Un modo di procedere che non aiuta la scuola, ma finirà con il distruggerla definitivamente.
Lo storico e docente universitario Franco Cardini trova tutto il dibattito un po’ noioso:
«Come insegnante – afferma – ho sempre trovato assolutamente cretino che nella scuola si tendesse alla parificazione. Si deve tendere alla crescita comunitaria il che non toglie affatto una dimesione di sana competizione, senza primi delle classe e orecchie d’asino. È evidente che l’idea del primo della classe è patetica ma è non meno evidente che in una società di forte competizione, che io in linea generale avverso profondamente, perché sono un antiliberista e un comunitarista, la scuola è a priori il luogo in cui bisogna insegnare la competizione civica. Ciascuno si deve esercitare e essere il migliore che può e si deve confrontare con gli altri, dopo di che è giusto fare una gerarchia perché uguaglianza significa avare pari risorse di partenza e saperle utilizzare al meglio, lontano da cose come l’esasperazione della compezione a fini di lucro e di vanità». Tirando le somme Cardini ritiene «che la competizione sia del tutto giusta e che i meriti vadano riconosciuti. Trovo contradittorio – aggiunge – in un paese in cui tutti si sono convertiti a un liberismo becero sia a destra che a sinistra, che ci si indigni solo quando si parla di queste cose nel mondo della scuola, la scuola è rimasta la nostra cenerentola, è rimasta in una bolla sospesa per aria, sarebbe il caso di rendere più competitiva in senso sano la scuola e invece di tornare a un comunitarismo serio nella società, ma mi pare purtroppo che si stia andando nella direzione opposta».
Lo scrittore e insegnante di Filosofia Girolamo De Michele, che di recente ha pubblicato il libro La scuola è di tutti, boccia invece l’idea di Profumo: «Rispondo con una battuta "rubata" al leader afroamericano Jeriko One: il ministro Profumo sta riordinando le straio sulla tolda del Titanic. I problemi della scuola sono ben altri, e occuparsi di queste minuzie, invece di metter mano al ripristino di ciò che nell’ultimo decennio è stato distrutto, significa prendere atto di ciò che i ministri precedenti hanno fatto, e avallarlo. Quanto al merito: premiare "il migliore" significa ignorare che la scuola è un luogo in cui si coopera – continua De Michele – nel quale i meriti del singolo derivano in buona parte dall’interazione con la classe, il corpo docenti, l’ambiente scolastico e quello extra-scolastico: il singolo studente è all’interno del comune, ed è dal comune che derivano le sue specificità. Incentivare i cosiddetti migliori favorisce l’idea che anche a scuola, come ovunque, l’unico modo per stare insieme sia quello di stilare una classifica che determina un vincitore, ma anche tanti esclusi. Bisogna invece tornare a incentivare la scuola delle compresenze, dei moduli, della cooperazione, dei gruppi-classe e dei lavori di gruppo, all’interno della quale nasce non lo spirito dell’individualismo, ma quello di cittadinanza: una "scuola costituzionale", come diceva un grande preside ferrarese d’altri tempi».

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