Noi del Secolo, poveri ma belli anche a 60 anni

21 Giu 2012 21:14 - di

Una cosa è certa: il Secolo «non c’ha mai avuto una lira», come ha ricordato Italo Cucci. Che fossero i primi anni Sessanta raccontati dal direttore storico del Guerin Sportivo e del Corriere dello Sport, i Settanta di Enzo Iacopino, oggi presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, o gli Ottanta-Novanta di Maurizio Gasparri, non c’è stato “testimone” di questa storia che ieri non l’abbia sottolineato. Eppure, «il Secolo sopravvive a tutto», come ha spiegato proprio il presidente dei senatori del Pdl. E, non a caso, ieri ha potuto festeggiare i suoi sessant’anni guardando al futuro. L’occasione è stata la presentazione del libro di Antonio Rapisarda “60 anni di un Secolo d’Italia”, voluto dal direttore Marcello De Angelis proprio per l’anniversario. «Il libro – ha spiegato De Angelis – nasce da un atto di pessimismo. Rischiavo di essere l’ultimo direttore del Secolo, l’ultimo direttore che per di più chiudeva dopo sei mesi dal suo arrivo. Volevo lasciare qualcosa, il racconto di idee che non appartengono a una persona, ma restano nel dibattito». Per questo «ho voluto questo libro, che non è né per la commemorazione di una storia, né per un suo inizio. È una pietra miliare». Ma anche il pessimismo di De Angelis, «che è noto – ha spiegato il direttore – a chi mi conosce», è rimasto disatteso. Nei sei mesi successivi al suo arrivo il Secolo non ha chiuso e, hanno assicurato gli “editori”, ovvero la classe dirigente politica che fa riferimento alla Fondazione Alleanza Nazionale, non lo farà nemmeno nel prossimo futuro. Perché, ha sottolineato Altero Matteoli «lettore del Secolo da oltre 50 anni», «non è una questione di costi, ma di un sentimento molto forte, di un grande punto di riferimento che ci ricorda chi siamo per proiettarci nel futuro». È una questione, dunque, di ruolo, di contributo di idee, spesso di guida. È – ha ricordato più d’uno – una questione di identità. È questione di luogo fisico e ideale intorno a cui ritrovarsi per pensare il domani, ricordando da dove si viene. «Il Secolo – ha spiegato Rapisarda – nasce come quotidiano per gli italiani, per raccontare il Paese che escludeva la destra e per raccontare al Paese quella destra che veniva esclusa. Non era solo un luogo di lavoro, ma una cinghia di trasmissione». Ruolo che ancora svolge, sebbene non più in un clima di esclusione e marginalità.
La sala conferenze di Montecitorio, ieri, era piena. Moltissimi i volti noti, dai parlamentari direttamente legati al giornale, come il presidente del Cda Tommaso Foti, l’ex direttore Gennaro Malgieri, gli ex redattori Adolfo Urso, Giorgia Meloni e Mario Landolfi, anche lui oggi nel cda, agli “amici” storici, come il senatore Domenico Gramazio e il deputato Fabio Rampelli. E, ancora, i parlamentari Carmelo Porcu, Domenico Benedetti Valentini, Luigi Ramponi, Andrea Ronchi, Edmondo Cirielli, Laura Allegrini, Carlo Ciccioli. E poi altri ex redattori, come Claudio Pompei, Massimo Magliaro e Gianni Scipioni Rossi, o giovani eletti del Pdl come il toscano Giovanni Donzelli e la veneta Elena Donazzan. E poi tanti lettori.
Se qualcuno si aspettava un’operazione nostalgia deve essere rimasto deluso, anche per l’anagrafe di molti dei presenti. Certo, “ricordi di gioventù” ce ne sono stati, ma l’incontro è stato soprattutto il luogo in cui ci si è chiesti cosa sarà nel futuro del Secolo, ovvero cosa sarà nel futuro della destra, che col Secolo fa binomio indissolubile. «Noi dobbiamo essere consapevoli di un fatto: l’identità non è legata a una forma partito, ma alla capacità di mettere in uno schieramento un contributo specifico di valori di destra», ha detto Gianni Alemanno, che sfogliando le pagine di “60 anni di un Secolo d’Italia” ha ricordato come una lunga parte della storia della destra sia «una storia di opposizione, di un movimento contro tutto e tutti». Ma, è stato il ragionamento del sindaco di Roma, questo mondo non ha mai rinunciato a pensarsi in una logica di valori per governare il Paese, nella logica di «un atto d’amore per l’Italia». Identità e amore per l’Italia sono dunque la strada da percorrere anche da qui in avanti, con la capacità di «fare nuove aperture e aggregazioni». Di «identità» ha parlato anche Mauro Mazza, ricordando quando negli anni Settanta il Secolo aveva una funzione di argine e spiegando che «non so cosa succederà nelle prossime settimane: si farà un grande contenitore o ci saranno tante liste?». «Ho sentito parlare anche di una lista animalista, ecco – ha proseguito il direttore di Rai 1 – vorrei che ci si ricordasse che noi siamo bestie diverse». Niente listarelle, ha assicurato Maurizio Gasparri, parlando invece di «un grande partito di centrodestra» e spiegando che «nulla vieta di utilizzare il Secolo per vivere una comunità di pensiero e orientamenti». Il presidente dei senatori del Pdl, quindi, ha ricordato come in passato il giornale sia stato spesso «scuola di formazione», che ha dato al Paese uomini di governo e professionisti di spicco e ha invitato quei politici, quei professionisti, tutti i presenti in sala e, idealmente, tutta la comunità della destra a mettersi «a disposizione della direzione del Secolo e della fondazione non per fare nuovi partiti, ma per tenere legato un mondo». Ma un invito è stato rivolto anche al giornale: si proietti nel futuro incrementando la sua presenza in rete, in modo da utilizzare al meglio gli strumenti dell’oggi, anche nell’ottica di “fare rete”. È stato poi Guido Lo Porto, da politico, a parlare alla politica, a ricordare che «abbiamo bisogno del Secolo, c’è bisogno di un quotidiano di destra e mai ce n’è stato bisogno – ha detto l’ex presidente dell’Ars – come in questo momento». Serve, ha proseguito, uno strumento di «tenuta e unità» e «questo ruolo lo può svolgere solo il Secolo». «Rifacciamo del Secolo – ha invitato Lo Porto – una bandiera per indirizzare la nuova destra italiana». Un percorso già che intrapreso se, come ha ricordato Ignazio La Russa, «il giornale si sta ponendo l’obiettivo di unire una comunità politica, valoriale e umana, di fornire un filo da seguire», all’insegna di quella «coerenza» che ne è sempre stata un tratto caratterizzante. «Il Secolo – ha ricordato ancora il coordinatore del Pdl – si è offerto come luogo di incontro, confronto, se necessario anche di scontro». «È una palestra di idee», ha proseguito, ricordando anche lui che il giornale davvero rischiava di chiudere, ma c’è stata una volontà di mantenerlo in vita perché «dovrà aiutarci a percorrere la strada, non della formazione di nuovi partiti, ma dei valori per una politica che rimanga protagonista nel nostro futuro».

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