Il Pd romano? Non sa comunicare…
Nicola Zingaretti, attuale presidente della Provincia di Roma, scenderà in campo nella disfida per il Campidoglio. Diventa così ufficiale una notizia che era già sulla bocca di tutti, un duello in grande stile tra destra e sinistra com’è ormai nella tradizione della politica romana da quando Gianfranco Fini si candidò contro Francesco Rutelli nel 1993. Pare però che a Roma Zingaretti non potrà contare sull’asse progressisti-moderati auspicato da Casini e “benedetto” da Bersani. Il terzo polo o quel che ne resta infatti al momento tra i due non sceglie, anzi rilancia per bocca di Luciano Ciocchetti, esponente Udc: «La contrapposizione fra Alemanno e Zingaretti è un duello che sa di vecchio, di superato. È nostro dovere rompere questo clima di scontro permanente e lavorare – aggiunge – per la rinascita della città. Credo sia il momento per Roma di una grande coalizione, serve un governo che lavori seriamente per il bene comune». Una coalizione che dovrebbe agganciarsi a un nome non “bruciato” dalle appartenenze e quello sul quale tutti sono pronti a scommettere, al momento, è il nome del ministro Andrea Riccardi, cattolico vicino alla comunità di Sant’Egidio, il quale nei giorni scorsi, proprio per marcare la sua identità sociale, si è recato in visita al campo nomadi di Tor de’ Cenci.
E forse proprio pensando a questa insidia Gianni Alemanno ha promosso una settimana fa una convention sul welfare capitolino, insistendo in quella sede sulla necessità di politiche sociali e per la famiglia in grado di supportare il tessuto comunitario e solidaristico della città. Un chiaro messaggio all’elettorato cattolico. Inoltre, il sindaco ha deciso di «andare verso il popolo», mischiandosi ai tifosi di piazza del Popolo durante la semifinale Italia-Germania e partecipando all’esultanza collettiva per il successo degli azzurri: «È una vittoria che ci tira su – ha commentato mentre le piazze italiane erano in festa – e la speranza è che ci aiuti a superare la crisi e a sentirsi tutti più europei». Alemanno ha poi trasformato la partita in un simbolo di rinascita: «Questa vittoria significa che quando facciamo squadra, siamo uniti e abbiamo voglia di combattere, possiamo anche vincere, e questa è l’ennesima dimostrazione». E per quanto riguarda la sua candidatura il “fare squadra” significa unità dello schieramento alternativo alla sinistra, come lo stesso Alemanno ha in più occasioni sottolineato.
E il Pd? Contro Alemanno da tempo rispolvera l’antica tecnica della demonizzazione, che già ha portato sfortuna alle scorse comunali. Tra l’altro, l’accusa al sindaco di avere “sdoganato” gli ambienti della destra radicale risulta distante dalla realtà. Il movimento di Casapound, infatti, non perde occasione per polemizzare con il “camerata” Gianni, sfruttando persino gli stop and go della nuova linea della metro B1 (per i quali Alemanno non ha colpa, essendo da attribuire allo stato di agitazione dei macchinisti finalmente risolto), come dimostra lo striscione affisso proprio da Casapound qualche giorno fa alla stazione Conca d’Oro: “B1: anni di lavoro, ore di attesa”.
Dal punto di vista della comunicazione, il Pd appare in affanno: non altrimenti si spiega la tirata d’orecchie del rapper italiano Frankie Hi-Nrg che, alla festa dell’Unità romana, ha duramente bacchettato il manifesto che promuove la kermesse: «Fa schifo – ha urlato dal palco – Roma ce la farà? Come se non ce la potesse fare oggi, come se fosse un problema da porsi più in là , perché prima non ci si riesce, e poi il Cupolone, potevate metterci altri simboli, il Colosseo… E poi con il tramonto». Manifesto crepuscolare, dunque, poco entusiasmante, per nulla trascinante.
E così anche quest’anno il manifesto della festa dell’Unità torna, come nelle edizioni precedenti, al centro della polemica. L’anno scorso era stata la versione adolescenziale di una Marilyn con la minigonna mossa dal vento a scatenare le ire di “Se non ora quando”. Quest’anno sono i rapper a bocciare la grafica e le idee del Pd. Eppure gli organizzatori avevano cambiato grafico, scegliendo il ventiquattrenne Livio Patriarca al posto dello storico e collaudato Andrea Santoro. Niente da fare: in questo caso, la “rottamazione” del vecchio per il nuovo non ha portato freschezza e originalità, ma un mezzo flop.