Ratzinger, il Papa che vola troppo alto
Dicono che quanto sta avvenendo Oltretevere sia frutto di uno scontro tra il segretario di Stato Tarcisio Bertone e il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Dicono che Benedetto XVI ne sia colpito così profondamente da risentirne anche nel fisico, che a toccarlo in modo particolare sia il coinvolgimento del suo maggiordomo, Paolo Gabriele, agli arresti per il furto delle carte riservate sue e del Vaticano.
Ma dietro il Vatileaks sembra agitarsi qualcosa di più di una guerra di potere, pur se nelle altissime gerarchie ecclesiastiche. «Lo scontro tra Bertone e Bagnasco è un elemento», spiega Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso e autore di saggi sulla politica vaticana, il quale ha «l’impressione che questa fuga di documenti non sia orchestrata da una mente superiore che manovra il tutto». Per l’esperto di cose d’Oltretevere si tratta, piuttosto, del frutto di uno sfilacciamento interno alla Santa Sede, in cui «da un lato c’è una incapacità di governare la curia» e «dall’altro si è indebolito il sentimento di appartenenza di chi vive e lavora nella Santa Sede». «Chi fa queste cose – spiega Magister – non vi si identifica, sente una distanza». Il risultato è l’immagine di «una cittadella vulnerabile a tutti i livelli», con un effetto paradossale: «Tutti i soggetti coinvolti, veri o presunti, hanno detto di farlo per il bene del Papa». Il meccanismo è quello che, sul Tempo di ieri, Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino Tempi, sintetizzava con una metafora: «E come se uno svaligiatore di banche dicesse: io ho svaligiato la banca per denunciare la speculazione internazionale». «È evidente – aggiungeva – che si tenta di rendere repellente l’immagine della Chiesa come un luogo di misteri occulti, di chissà quali perversità».
Diceva qualche giorno fa, in un’intervista al giornale on-line Pontifex Roma, il lefebvriano don Davide Pagliarini che «bisogna ragionare sui perché di questa situazione di crisi e attacchi» e che «questi assalti sono mirati non tanto alla persona fisica del Papa, quanto alla stessa istituzione». Proprio la volontà di riallacciare i rapporti con i lefevriani, come il dialogo con la Chiesa ortodossa o l’accoglienza nella comunità cattolica di tanta parte della Chiesa anglicana, a partire da pezzi importanti delle sue gerarchie, sono stati fra i passi che in questi anni di pontificato hanno esposto Ratzinger a pressioni, attacchi, inimicizie. Ma anche questi possono forse essere classificati più come elementi che come nocciolo della fortissima esposizione del seggio pontificio. «Leve su cui agire e da ingigantire», per dirla con Magister, secondo il quale il vero problema è che Ratzinger è «portatore di un messaggio molto nitido, molto leggibile, nonostante dica cose forti, importanti, alte». «Per semplificare al massimo – spiega ancora il vaticanista – lo scontro è tra la parola di questo Papa e la cultura di questo mondo, ed è uno scontro che si è palesato subito e ha provocato da subito reazioni, dentro e fuori la Chiesa, da parte di quei molti che non condividono questo modo nitido, leale con cui il Papa pone sfide alla società di oggi». Su Libero di ieri, Marcello Pera si chiedeva per quale motivo «lo Spirito» avesse voluto l’elezione proprio di Ratzinger. «Lo ha indicato perché risvegliasse le nostre coscienze mentre sono smarrite e inquiete», spiegava l’ex presidente del Senato che con il Pontefice è co-autore del libro Senza radici. «Chi compie questi attacchi, chi critica questo pontificato mira a rovesciarne la linea», è l’opinione di Magister, per il quale se per la fuga di documenti non si può parlare di un complotto, non è comunque difficile intuire chi possa giovarsi e gioire di operazioni del genere: «Tutti quelli che partono dal presupposto che il mondo culturale cattolico sia superato, che pensano che ora ci sia una modernità che vince sull’arretratezza». «Io però non ho l’idea che la Chiesa stia vivendo una fase catastrofica. Difficile, ma non catastrofica», spiega il vaticanista, che ricorda come Ratzinger rappresenti una linea di continuità con Wojtyla. «Nell’ultima fase del suo pontificato, a livello mediatico, Giovanni Paolo II è stato presentato come il portavoce della “modernità”, si incoraggiava una sorta di compassione verso questo papa sofferente, avvalorata da una lettura molto interessata di certe “battaglie pacifiste”, ma se si va indietro negli anni si ricorda che Wojtyla è stato un pontefice dalla visione altissima e contestato brutalmente, uno che ha avuto uno scontro frontale con la gerarchia della Chiesa italiana, uno a cui hanno sparato addosso anche fisicamente…».