L’anticorruzione agita Montecitorio
Polemiche e stallo, seduta iniziata in ritardo e poi aggiornata alla prossima settimana, riunione governo-maggioranza alla ricerca di un compromesso. E, ancora, un nuovo vertice convocato per lunedì, in vista del proseguimento dei lavori. La discussione di ieri sul disegno di legge anti-corruzione si è rivelata piuttosto accidentata. Colpa della difficoltà a trovare una quadra sugli emendamenti e di un colpo di mano dell’Idv, che ha fatto propri alcuni testi che erano stati presentati e successivamente ritirati dal Pd per cercare di facilitare i lavori. Fosse finita solo con l’appropriazione non sarebbe stato poi un grosso caso. Senonché il Pd ha ritenuto di votare con i dipietristi e il governo è andato sotto con una votazione da 237 a 233.
È successo in particolare per il testo che prevede che un pubblico impiegato che abbia percepito soldi in maniera indebita sia sottoposto al giudizio sulla responsabilità erariale da parte della Corte dei Conti. Un’altra proposta di modifica passata dal Pd all’Idv, invece, è ora fra i nodi sensibili su cui governo e maggioranza stanno cercando una mediazione. Si tratta di quella che prevede il divieto di arbitrati nella pubblica amministrazione. L’altro argomento di confronto è l’impossibilità per un candidato o un ex parlamentare di ricoprire incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione prima che siano trascorsi tre anni dalla fine dell’impegno politico. L’emendamento era stato presentato dal governo, ma è finito al centro di un acceso dibattito in aula e si è deciso di accantonarlo. Al di là dei contenuti, però, il punto è politico e riguarda sia la capacità dei partiti di portare in base un provvedimento diventato tanto più urgente quanto più la politica ha perso credibilità sia gli equilibri interni alla maggioranza.
Tutti i partiti rivendicano la necessità di approvare la legge, ma il caso Pd-Idv dimostra come poi non sempre riescano a essere conseguenziali. Succede così che tra disponibilità al confronto, tentazioni di andare dritti per la propria strada, genuine diversità di visioni e forse qualche ipocrisia l’iter si complica, con un coté di reciproche accuse. E sì che questo testo, firmato dagli allora ministri Angelino Alfano e Roberto Calderoli, è sul piatto dal maggio 2010, esattamente due anni. «Non sono applicabili tecniche dilatorie», avvertiva ieri Pier Ferdinando Casini. «Lo ribadisco chiaramente: noi siamo qui per andare avanti nell’esame dell’anticorruzione», gli faceva eco Dario Franceschini. «Noi siamo impegnati a votare la legge, ma non lo faremo alla cieca, provocando danni e guasti nella pubblica amministrazione e nel rapporto tra
politica e cittadini. Vogliamo fare un lavoro serio e respingiamo al mittente le illazioni secondo cui vogliamo rallentare questo testo», ha detto poi in aula il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto. La Lega, con il suo capogruppo Gianpaolo Dozzo, ha tuonato che «maggioranza ed esecutivo perdono tempo, perché non c’è affatto intesa tra loro né all’interno della stessa maggioranza». Affermazione che poi, tra le righe, sembrano significare che un testo va varato purché sia. «È un provvedimento molto atteso dai cittadini e la Lega Nord è pronta da tempo ad approvarlo», ha poi proseguito Dozzo, che parla a nome di un partito che oggi, alla luce della vicenda Belsito, ha l’assoluta necessità di mostrarsi intransigente sui temi della trasparenza e della correttezza negli uffici pubblici. L’unico che si è scagliato apertamente contro la legge è stato Antonio Di Pietro, secondo il quale il testo legittimirebbe «la logica di tangentopoli e del malaffare», salvo poi chiarire qual è il suo vero obiettivo. «Non c’è una maggioranza politica che sostiene il governo Monti, ma non vogliono staccare la spina», ha detto il leader dell’Idv, che ieri non ha certo avuto la forza di realizzare i suoi desiderata, ma è riuscito comunque a creare difficoltà. Grazie, c’è da dire, al sostegno del Pd.