Ipocrisia rosso shocking
Elementare, Watson. Facile per Bersani, un gioco da ragazzi filosofeggiare sul caso Lusi, con tutte le notizie che trapelano, come quella degli oltre 30mila euro spesi per lo chef in occasione del suo secondo matrimonio e pagati con assegni della Margherita. «Per noi – ha sentenziato con tono solenne il leader del Pd – un senatore è uguale a un cittadino, non c’è differenza». Del resto, «Lusi è stato cancellato dai nostri iscritti e non fa più parte del nostro gruppo al Senato». Ma che bravo, questo Bersani versione magister vitae, tira fuori dal cilindro la lezioncina sulla legge che è uguale per tutti, un concetto che è nel dna della sinistra e bla bla bla. Chissà perché, però, il leader del Pd non abbia fatto il magister vitae allo stesso modo e negli stessi termini quando scoppiò il caso di Alberto Tedesco, anche lui ex democratico, finito nell’indagine sulla corruzione della sanità pugliese, per fatti che risalivano agli anni in cui era assessore della giunta Vendola. Quando l’aula del Senato fu chiamata a esprimersi sull’arresto, Tedesco fu salvato – guarda caso – proprio dai voti segreti del Pd, in un oceano di polemiche e tentativi di scaricabarile. Bersani non fu così tagliente come lo è oggi con Lusi. Si spinse addirittura a “benedire” la permanenza a Palazzo Madama dell’ex compagno di partito: «Tedesco rifletterà nelle prossime ore. ma vorrei sottolineare che il suo intervento al Senato per il sì all’arresto è stato buono». In quell’occasione, per il Pd, un senatore non era per nulla uguale a un cittadino. Ancora più elementare, Watson.