Il ruggito di Bossi non piace a Maroni
Solo una voce dal sen fuggita, una battuta a beneficio dei giornalisti? La cattiva sorte non ha tolto a Umberto Bossi la sua verve provocatoria, il gusto per la dichiarazione trancant che rimescola le carte. L’uscita a sorpresa di Umberto Bossi nel giorno delle celebrazioni per i 25 anni del Carroccio sulla sua possibile ricandidatura al prossimo congresso scatena una cascata di reazioni a metà tra l’imbarazzo e la santificazione del leader. Che dimostra, una volta di più, di non avere intenzione di andare in pensione e di essersi fatto da parte solo per necessità.
Siamo ancora alla pretattica ma quelle parole («se serve per l’unità della Lega») sono una bomba a orologeria che minaccia i precari equilibri interni, dopo lo tsunami giudiziario che ha decapitato buona parte delle vecchia dirigenza. Il primo a non aspettarselo è Bobo Maroni che non nasconde l’irritazione per il ritorno sulla scena dell’amico-nemico che sperava di confinare al ruolo di padre nobile. «Grazie a tutti coloro che sono venuti a Zanica. Peccato solo che la dichiarazione di Bossi abbia consentito ai giornalisti di mettere in secondo piano la protesta fiscale contro l’Imu sulla prima casa. Ma la battaglia continua, in tutti i sensi…». Parole che tradiscono il logoramento di una guerra di nervi che spiazza Maroni, tanto più dopo aver dichiarato fedeltà incondizionata al senatùr annunciando di essere pronto a rinunciare alla segreteria nel caso di una candidatura di Bossi. Ma era tanto per dire, perché l’ex ministro non intende portare acqua a nessuno, forte dell’investitura ricevuta da Bossi nel giorno dell’orgoglio leghista di Bergamo, quando gli altri triumiviri erano stati relegati al ruolo di comprimari. Dalla bacheca di Facebook Maroni continua la sua battaglia moralizzatrice mentre i bossiani gli chiedono di essere coerenti («La pulizia nella Lega deve continuare, chiunque ha usato soldi del movimento per scopi personali deve restituire il maltolto e andare a zappare. Nuove regole per ripartire a testa alta, largo ai giovani»).
Esplicito come nel suo stile il ribelle Flavio Tosi che definisce semplicemente «inopportuna» l’ipotesi di un Bossi bis. «Dopodiché, ovviamente», dice il sindaco impegnato con il suo “laboratorio Verona” dal quale può uscire il primo stampo della “nuova Lega , «ognuno è libero di candidarsi e saranno i militanti a decidere. Naturalmente il sottoscritto si augura che il segretario sia Roberto Maroni». Il ruggito di Bossi torna a catalizzare tutta l’attenzione del partito e dei media proprio all’indomani dell’anniversario della nascita del Carroccio. Difficilmente la reinvestitura del senatùr sarà praticabile perché è troppo forte il desiderio della base di voltare pagina, più facile che il fondatore del Carroccio lavori per la candidatura di uno dei suoi fedelissimi contrapposta a quella del leader dei “barbari sognanti”. Per questo l’outing bossiano del primo maggio trova impreparato lo stato maggiore che oscilla tra l’imbarazzo e la cautela. Se i paladini del rinnovamento contro il Cerchio magico preparano in silenzio le contromosse (Cota e Zaia, ma anche Salvini), escono allo scoperto i pretoriani doc, tentati dai festeggiamenti per l’unità ritrovata. Tra questi non poteva mancare il co-fondatore Giuseppe Leoni che legge nei numeri un segnale favorevole, «venticinque anni dopo la raccolta di firme per presentare il simbolo della Lega in Parlamento Umberto ha annunciato la sua ricandidatura». Tra i più fedeli c’è chi parla di «faro», come il ligure Giacomo Chiappori, chi plaude con ritrovata fiducia «al suggello» della nuova unità, come Alberto Torazzi, chi pretende da Maroni un passo indietro («molti esponenti hanno dichiarato che avrebbero votato Bossi qualora si
fosse ricandidato e adesso?», chiede Montagnoli).
Anche Roberto Castelli, da sempre vicino al senatùr e ricomparso a via Bellerio proprio nei giorni più drammatici del caso Belsito, gioca la carta dell’unità senza se e senza ma: «È meglio presentarsi con una candidatura unica al congresso per garantire l’unità del partito. Le correnti sono una cosa che non ci appartiene». E prosegue con un avvertimento al giovane Bobo: «Se Napolitano a 87 anni fa il presidente della Repubblica con piglio anche autoritario, non si vede perché Bossi, che ne ha molti meno, non possa ancora guidare la Lega. Maroni è la figura di maggior spessore politico in questo momento, ma il congresso è un’altra storia».