Bandiera di una intera comunità
La storia di un giornale politico non è la storia di un giornale qualunque. Se poi quel giornale venne fondato per dare voce e un luogo d’incontro a una comunità di vinti, perché tali erano i suoi lettori di riferimento al momento della sua fondazione, allora è evidente che Il Secolo, prima ancora che un quotidiano di partito, è stato il punto d’incontro di una comunità di uomini e di donne che orgogliosamente non intendevano sacrificare, sull’altare della sconfitta militare, «le idee che mossero il mondo». Va detto, ad onore del vero, che Il Secolo non è stata l’unica pubblicazione a disposizione di quella comunità, la qual cosa ne attesta la vivacità, la curiosità culturale, la voglia di non arrendersi. Al riguardo, tra le altre alcune pubblicazioni particolarmente significative di quegli anni, mi permetto di ricordare: Asso di Bastoni (diretto da Pietro Caporilli e Pietro Palumbo), Rivolta Ideale (diretto da Giorgio Tonelli), Meridiano d’Italia (diretto da Franco Servello, il cui fondatore Franco De Agazio venne assassinato da un gruppo di delinquenti professionali comunisti radunati nella Volante Rossa), Lotta Politica (con direttore politico Augusto De Marsanich), Il Nazionale (diretto da Ezio Maria Gray e da Concetto Pettinato), Il Merlo Giallo (diretto da Alberto Giannini).
È bello registrare, con ben più di una punta di comprensibile amarezza se guardiamo all’oggi, come la vivacità mostrata dalle riviste che gravitavano intorno all’area cosiddetta “neofascista” pochi anni dopo la conclusione del conflitto bellico, la qualità degli editorialisti che a quelle pubblicazioni collaboravano, il fatto di essere stata proprio quella editoria una formidabile scuola di formazione per tantissimi giovani destinati ad affermarsi successivamente nei maggiori quotidiani nazionali, rendono quegli anni non solo formidabili ma anche invidiabili. Ricordo con piacere, per avere con lui discusso più volte della questione, solo uno dei tanti giovani che al Secolo fece la sua prima esperienza giornalistica, Gaspare Barbiellini Amidei: nato – ma non per l’anagrafe – sul transatlantico italiano Conte Rosso in navigazione nell’Oceano Indiano, figlio del podestà di Piacenza eroicamente caduto in Grecia nel 1940, e poi cresciuto sempre di più nel mondo dei giornali fino a diventare prima vicedirettore vicario del Corriere della Sera e poi direttore del Tempo. Uno dei tanti giovani, non certo l’unico, che partito dalle quattro stanze in croce che ospitavano la redazione del Secolo finì per affermarsi oltre ogni ragionevole aspettativa.
Una storia, quella del Secolo, che attraversa 60 anni di vita politica italiana e che appare fondamentale per delineare il percorso di una comunità che è passata dall’iniziale sdoganamento (le elezioni amministrative all’inizio degli anni ’50) all’emarginazione (soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60) fino ad essere perno fondamentale di una politica di alleanze (dal 1994 in poi). Una voce quella del Secolo che, all’inizio degli anni ’80, è stata più volte presa di mira con la dichiarata intenzione di togliere di mezzo un quotidiano che riusciva miracolosamente a tenere assieme una comunità che prima ancora che di militanti era fatta di credenti, essendo quelli tempi in cui sapevi di uscire di casa ma non eri certo di farvi rientro. È nel clima torbido della violenza politica e del terrorismo che il 7 marzo del 1980 i “soliti ignoti”, cercarono di provocare la strage nella tipografia del Secolo, facendo esplodere due bombe. Cinque giorni dopo, fallito di pochissimo un attentato alla sede del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna, una mano assassina comunista colpì a morte Angelo Mancia, segretario della sezione Talenti del Movimento Sociale Italiano, dipendente del Secolo. Anni difficili, per non dire proibitivi, in cui solo l’amore per le proprie idee, la convinzione di essere nel giusto, la fierezza di una generazione che non si era arresa e non intendeva farlo, potevano consigliare di andare avanti, di non cedere, di tenere alta una bandiera – quella tricolore – che nella pavidità di certe forze politiche, anticomuniste più nelle parole che nei comportamenti concludenti, pareva inevitabilmente destinata ad essere seppellita nel fango.
Anche Il Secolo è da 60 anni, tra alti e bassi, tra chiusure temporanee e altre sventate, la bandiera di coloro che si riconoscono nella destra politica italiana. Una bandiera che non può essere ammainata – e questo è l’augurio – essendo il testimone che è passato da generazione a generazione senza mai cadere. Il che non significa dimenticare l’evoluzione dei tempi e la necessità di mettere a disposizione di un pubblico sempre più esigente un quotidiano non più solamente cartaceo. Il Secolo sull’iPad è frutto anche di una scelta che si prefigge di stare al passo con i tempi.
Da parte nostra – a partire dal direttore Marcello De Angelis e dagli amici Butti, Giordano, Landolfi e Lisi che con me condividono l’onere di “amministrare” il Secolo – ogni utile sforzo, compreso quello dell’innovazione del formato che rende la testata sicuramente più accattivante rispetto al precedente e la riporta a quello delle sue origini, sarà compiuto per fornire ai lettori non solo una statica lettura delle vicende politiche, ma un’interpretazione delle stesse che sappia guardare avanti. Ai lettori e soprattutto ai tanti amici del Secolo che in questi anni, in ragione anche delle vicende che hanno toccato una comunità politica che aveva sempre fatto della propria compattezza il proprio punto di forza, si sono smarriti mi sento di dire che ci sono tante ragioni per tornarci a leggere, per esserci autenticamente vicini, ma una in particolare: senza questo foglio comunque lo si possa o voglia leggere, la destra sarebbe più povera. E questo proprio non ce lo possiamo né dobbiamo permettere.