Maroni si conta in Parlamento: qui i “veneti” sono già in trincea

11 Apr 2012 20:39 - di

«E lei viene a chiedere a me di Maroni? Figuriamoci, io sto nella sua black list! No, non parlo. Dico solo che resto più bossiana di prima, ora che tutti dicono di essere maroniani: sono una tosta, io. Siamo veneti, noi…». Appunto: sono veneti. Loro. E sono tanti. E lei, Paola Goisis, con quel coccardone di raso verde su tailleur nero, è l’avamposto della trincea dell’Adige contro il nuovo corso degli “spazzatori” di Bobo Maroni, inaugurato dai suoi “barbari sognanti” con le pulizie di primavera, martedì sera a Bergamo. La Goisis si aggira nel Transatlantico con l’aria di una prof (di Lettere, nel suo caso) che ti sorride dolcemente mentre ti boccia a libretto: lo stesso sguardo che aveva qualche giorno fa quando aveva accusato Maroni di aver pugnalato il suo Umberto Bossi alle spalle. Leghista del cerchio magico, in apparente disgrazia nel day-after dell’avvento di Maroni, sembra parlare a nome di quella fazione veneta che nel gruppo alla Camera non sembra disponibile ad accettare a scatola chiusa il nuovo corso “maroniano”. Non è un caso che la Goisis agganci al volo sotto al braccio Massimo Bitonci, il sindaco patavino di Cittadella, e se lo porti a spasso davanti a tutti, non appena il conterraneo conclude un lungo e articolato intervento in un’aula. «Maroni? A me interessa l’unità della Lega, ieri sera, a Bergamo, mi sono commosso quando tutti abbiamo gridato “Lega, Lega”: sul futuro leader vediamo al congresso, noi veneti siamo per il merito e non abbiamo mai visto un euro dalle nostre parti..», spiega Bitonci. «Anche io ho preso un sacco di voti, sa, e posso essere considerato un giovane. Certo, se poi arrivano i venticinquenni che al potere perdono la testa, è un problema…», dice, con qualche non velatissimo riferimento al Trota Renzo Bossi.
La Goisis e Bitonci, ovviamente, stanno con Luca Zaia e con tutti quei leghisti bossiani veneti che non si uniranno automaticamente ai “neomaroniani” , da qui alla celebrazione del congresso. Molti di loro, ma non il capogruppoGianpaolo Dozzo(anch’egli veneto ma maroniano di ferro) sono inseriti nella black list dell’ex ministro dell’Interno, che secondo alcuni giornali patavini comprenderebbe anche il senatore Piergiorgio Stiffoni, il capogruppo Federico Bricolo, in odore di “purga”, ma anche il deputato veronese Alessandro Montagnoli e qualche altro suo collega veneto di Montecitorio; senza dimenticare i lumbard “cerchisti” come l’ex capogruppo Marco Reguzzoni, Giacomo Chiappori, che ieri già attaccava a testa bassa i “barbari sognanti”, Francesca Martini, Alberto Torazzi, Marco Desiderati, ed ancora, i senatori Giovanni Torri e Lorenzo Bodega. Se è vero che il sindaco di Verona, Flavio Tosi,  è considerato vicinissimo a Maroni, per il governatore Luca Zaiale cose stanno diversamente. Così come per l’altro veneto a lui vicino, Stefano Stefani, ora nel posto chiave di tesoriere. L’asse tra veneti e piemontesi, che fanno capo a Roberto Cota e vedono nel deputato Sebastiano Fogliato il capofila, a Roma si prepara a dare filo da torcere al nuovo corso maroniano. Impossibile dividere in due fazioni il gruppo alla Camera: la maggioranza resta in mano a Bobo, anzi si è ampliata, ma nella zona grigia si muovono in tanti, sotto l’occhio severo dei fedelissimi di Maroni, Gianluca Pini, Giacomo Stucchi, Maurizio Fugatti e perfino di Emanuela Munerato, la deputata operaia a cui Reguzzoni aveva offerto una grande visibilità affidandole la dichiarazione di voto contro il governo Monti, nel dicembre scorso: oggi anche lei sta con Maroni, dopo che il marito è stato cacciato dalla Lega per aver denunciato un bossiano. Con Bobo, alla Camera, c’è anche Paolo Grimoldi, leader dei giovani padani, che però a domanda ieri rispondeva: «Maroni leader? Se si fa il congresso e si ripresenta Bossi, io lo voto. Pe me le pulizie sono già finite». La parola d’ordine è non lasciarsi scappare nulla contro il senatùr. Lo si capisce dalle parole di un altro deputato vicino a Bobo, Raffaele Volpi, che rispondendo a Rutelli ne approfitta per ricordare che «Bossi ha dato una grande prova di responsabilità». Così, giusto per puntualizzare.

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