La nuova leva degli arruffapopolo
La politica è cosa semplice. O almeno dovrebbe, se c’è democrazia. Perché il metodo della democrazia è che tutti votano e la maggioranza decide chi governa. Quindi tutti devono essere in grado di capire. Per questo politicanti e politologi parlano difficile. Come Don Abbondio che parlava latino per imbrogliare le carte. Siccome non esiste nella realtà un’assenza di governo, le cose sono due: o lo sceglie il popolo a maggioranza – e allora è democratico – oppure viene deciso da un uomo o un’oligarchia e imposto con un atto di forza interno o esterno. Siccome i cittadini votano secondo un’opinione, è necessario che non siano pilotati da un’informazione a senso unico, altrimenti la capacità di scelta è ridotta. Nemmeno è possibile che ognuno decida di candidarsi a governare quando si sveglia la mattina, altrimenti sarebbe il caos. Quindi servono delle aggregazioni che organizzano e rendono stabile il consenso e fanno al proprio interno formazione e selezione degli aspiranti dirigenti, che chiamiamo “partiti”. Tutto questo oggi è messo in discussione non già da demagoghi o qualunquisti, ma da arruffapopolo che si improvvisano tribuni e che si propongono di sostituire l’aggregazione occasionale ai partiti e l’onda emotiva all’ideologia. La tecnica è parlare non già al cervello, né al cuore, né allo stomaco della gente, ma al fegato. Fare a chi grida di più o a chi la spara più grossa. L’obiettivo? Liberare la poltrona per posarci il proprio deretano. L’avvenire si prospetta radioso.