Altolà del Pdl alla Camusso: rischi di uccidere l’occupazione
Il Pdl non si fa dettare l’agenda né dalla Camusso né dal Pd. Sulla riforma del mercato del lavoro non si tratta di riciclare i vecchi pregiudizi, il dualismo tra imprese e lavoratori l’un contro l’altro armati. Va compreso invece che i loro destini si incontrano sul terreno della capacità di creare occupazione da parte delle aziende. La lotta di classe affonda il Paese. Provvedimenti restrittivi sui contratti di assunzione portano nel baratro i lavoratori per primi. Per questo si sta scaldando l’iter al Senato del ddl, con il Pdl deciso più che mai a riscrivere le norme sulla flessibilità in entrata proprio nella direzione di uno snellimento della “burocratizzazione" delle norme stesse, così come sono presenti nel testo. Ieri lo ha ribadito forte e chiaro il segretario Angelino Alfano nell’incontro a palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Mario Monti. Il centrodestra va dritto verso l’obiettivo, condiviso anche da Confindustria, di riscrivere le norme, troppo “ingessate", che riguardano la flessibilità in entrata, che è la questione cruciale perché tradotto in termini pratici significa per lo più andare incontro all’occupazione giovanile.
Proprio per mettere a punto i cambiamenti necessari ieri mattina, alla vigilia dell’incontro con il premier, Alfano ha incontrato i rappresentanti delle imprese, a partire dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, già molto critica nei confronti del provvedimento. C’è una preoccupazione condivisa con il Pdl riguardo le norme che irrigidiscono l’ingresso nelle aziende: dai vincoli sull’apprendistato alla cancellazione di alcune tipologie contrattuali, all’incremento del costo dei contratti a termine. «Sembra più un nemico dell’occupazione», aveva attaccato il segretario del Pdl riferendosi alla riforma, aggiungendo che se verrà approvata nel testo depositato in Parlamento «invece che assunzioni a tempo determinato non ci saranno proprio assunzioni».
Dunque – questo il succo del faccia a faccia tra Alfano e la Marcegaglia – archiviato l’articolo 18, ci sarà un consistente pacchetto di modifiche alla parte della legge che regola la flessibilità in entrata. «La riforma noi vogliamo approvarla perché serve all’Italia anche per quanto riguarda la credibilità nei mercati internazionali», ha specificato il segretario del Pdl. «Ma serve farla bene». Emma Marcegaglia ha tenuto a precisare che la sua posizione, ossia la contrarietà al ddl lavoro, «non è una posizione personale. Non è fatta per alzare la voce o fare polemica, ma ci arrivano centinaia di lettere di imprese, grandi e piccole, nazionali e multinazionali, che sono molto preoccupate». Per questo, la rotta è indicata: «Il ddl non va snaturato. Ma va cambiato. Molto», ha ribadito il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. Non c’è altra strada. Ma la preoccupazione delle imprese, dei lavoratori, della Bce che allerta su un aumento della disoccupazione in arrivo, non sembrano scalfire l’aplomb del lader del Pd, Pier Luigi Bersani, più attento ai tempi ( e all’elettorato) che alla sostanza del ddl. «Bisogna stare nel solco del progetto di legge e non ci sto a un allungamento dei tempi di approvazione e a manovre dilatorie che mi preoccuperebbero molto». Le sue preoccupazioni dovrebbero essere ben altre. Sull’eccessivo irrigidimento delle forme contrattuali in entrata, aspetto che si sta configurano come il vero nodo strutturale della riforma, aveva brillato per il suo ostracismo anche il leader della Cgil, Susanna Camusso che, sempre ieri, dai microfoni del Gr3 Rai si era rivolta ai parlamentari del Pdl, apostrofandoli che non è questa la via da seguire. «Io credo che sbaglino», ha detto, «l’aumento della precarietà ha indebolito ulteriormente la nostra economia, ha bruciato due generazioni di giovani che non hanno una prospettiva certa, credo che sia inevitabile cambiare strada e ridare certezze al lavoro». La risposta per bocca del capogruppo dei deputati del Pdl era stata chiara: «Fare provvedimenti di legge punitivi per le imprese in questi momenti di crisi rischia non di superare la precarizzazione ma di porre ulteriori problemi alla crescita e alla occupazione».