Lavoro, sinistra sotto choc: il Pdl ci ha fregato di nuovo…

16 Mar 2012 20:29 - di

Pensavano di aver trasformato Palazzo Grazioli nella reggia di Versailles, con l’assedio, i fischi, il re indebolito. Immaginavano un’altra fuga, non a Varennes ma ad Arcore. Ed erano certi che la “ghigliottina politica” aveva fatto le sue vittime. La sinistra e il popolo viola sono passati dalla “rivoluzione di novembre” contro Berlusconi (edizione riveduta e corretta della Rivoluzione francese) alla paura d’essere tornati all’ancien regime. Perché, con quello che sta accadendo con le riforme, in primis quella sul lavoro, dimostra che le redini sono ancora nelle mani del Pdl, vero protagonista dei vertici con Monti e delle modifiche migliorative dei testi. Da qui la rabbia: «Sulla riforma del lavoro la Cgil si piega», titolava ieri Il Fatto quotidiano. Fatto dirimente, anche considerando che nella serata di giovedì c’era stato un vertice tra Monti e i segretari Alfano, Bersani e Casini. Sembrava che il governo, dopo aver smussato gli angoli nel negoziato con i sindacati e le imprese, fosse riuscito a farlo anche in sede politica. La Camusso è caduta subito in crisi, vendoliani e dipietristi pure. Le cose si stanno mettendo male, la Cgil rischia grosso, Idv e Sel sono diventati molto ma molto marginali. S’infrange l’illusione di quella sera invernale quando, tra i brindisi dei manifestanti, il Cav entrava in auto per andare a dimettersi. Prende corpo il cosiddetto “modello tedesco”. Il che sta a significare diritto di reintegro per i licenziamenti discriminatori, semplice indennizzo per quelli economici, parola al giudice (ma con una serie di paletti) per i licenziamenti disciplinari i cui indennizzi, comunque, non potranno andare al di là dei due anni.

Camusso ci ripensa
Sembrava tutto fatto, anche perché il premier, notoriamente molto riservato e poco propenso a sbilanciarsi, aveva affermato in un’audizione alla Camera che «il negoziato è in dirittura d’arrivo». Invece no. A mattinata appena iniziata la Camusso ha rovesciato il tavolo: «Le proposte del governo sull’articolo 18 non ci convincono e non vanno bene. Per noi rappresenta una tutela generale, rappresenta una funzione di deterrenza rispetto all’arbitrio dei licenziamenti. Quindi una discussione deve partire dal salvaguardare questo principio». Del sommesso via libera del giorno prima, in sostanza, non si intravede neppure traccia. Come mai? Perché il vertice tra Monti e i segretari di Pdl, Pd e Udc ha dato la sensazione che il Pdl abbia dato le carte, mentre Bersani ha recitato un ruolo di assoluto comprimario.  Un fatto che ha lasciato la Camusso in enorme difficoltà, assediata dalla Fiom che l’attaccava da sinistra (lunedì, alla vigilia del rush finale, riunirà il Comitato centrale e il giorno dopo protesterà sotto Palazzo Chigi) e con il resto del sindacato che mugugna perché ha la sensazione di dover subire le scelte del Pdl e di Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Così a Corso d’Italia hanno deciso che bisogna alzare il tono per dare la sensazione di essere stati in qualche modo determinanti nell’intesa che si annuncia per la prossima settimana. Anche perché Bersani il suo giudizio sembra averlo già dato. Ieri mattina, intervistato a Yudem Tv ha parlato in politichese ma ha fatto capire che il modello tedesco ha già avuto disco verde, perché – ha sostenuto – «siamo in Europa, siamo un grande Paese esportatore e manifatturiero come la Germania e pertanto non possiamo che avere regole comuni con i tedeschi». Chi vuol capire capisca…

Dieci anni di ritardo
Angelino Alfano ha invitato a guardare a quello che si poteva fare e non è stato fatto. «La riforma dell’articolo 18 – ha sottolineato – il centrodestra intendeva realizzarla dieci anni fa, ma allora la Cgil di Sergio Cofferati portò in piazza un milione di persone per impedircelo. Ci riuscì, ma in questo modo il Paese ha perso del tempo prezioso». Tutto bne, quindi? Non del tutto. Se le proposte sulla flessibilità vanno nella giusta direzione non altrettanto si può dire per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. La nuova Aspi, che dovrebbe sostituire la mobilità e l’indennità di disoccupazione ed essere finanziata con un prelievo contributivo del’1,3 per cento, minaccia di pesare sul mondo dell’impresa artigianale e commerciale che oggi paga lo 0,4 er cento. Di questo disagio il Pdl si è già fatto interprete presso il governo e il ministro Fornero ha fatto sapere che convocherà immediatamente i  rappresentanti delle medie e piccole imprese che hanno addirittura annunciato la possibilità di disdettare i contratti. «Non possono essere questi soggetti – ha sostenuto Alfano –  a pagare il costo della riforma». E Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl, ha sottolineato che questo modo di procedere finirebbe per essessere autolesionista: «Le piccole e media imprese – ha rilevato – sono centrali nel nostro sistema economico e per questo è impensabile varare una riforma che le possa penalizzare, smorzandone slanci e prospettive di sviluppo. Sarebbe un azzardo e un prezzo troppo alto per il nostro tessuto economico, già provato da una crisi finanziaria forte e intensa».

Bonanni contro tutti
Mentre la Confindustria si muove per ottenere migliori condizioni sul fronte della flessibilità in entrata perché il nuovo testo della Fornero, secondo Emma Marcegaglia, origina «più costi e più burocrazia e rischia di ridurre l’occupazione invece di aumentarla», Ugl e Uil annunciano la riunione dei loro parlamentini per la giornata di mercoledì 21 marzo, con all’ordine del giorno un esame delle proposte emerse nel corso dell’incontro con Monti del pomeriggio precedente. Raffaele Bonanni, invece, spara a zero contro quelli che in questi giorni invece di dimostrare disponibilità alzano la voce.  «Molti strappano da una parte o dall’altra – afferma –  più che un accordo cercano protagonismi». «C’è Camusso, c’è la Cisl, la Uil, gli imprenditori, il governo, ci sono i partiti», spiega Bonanni evidenziando che «ci sono più soggetti e nessuno può accampare la pretesa di fare secondo il proprio volere. Ognuno deve convergere verso l’altro. È ora di finirla in questo Paese, nella politica e nel sociale, che ognuno trascini dalla propria parte. Non si può più continuare così in un Paese lacerato tra problemi economici e disoccupazione. Spero che nessuno strappi una tela così lungamente tessuta in modo certosino». E a chi gli fa notare che secondo Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom, la Cgil non è legittimata a firmare l’accordo, con una battuta Bonanni risponde: «Se lo dice Cremaschi, mio zio dice il contrario». Le convinzioni del buon padre di famiglia, in sostanza, sono una cosa molto diversa rispetto alle ideologie preconcette.

Commenti