La ricetta di Michele per salvare la Rai: la “santorocrazia”
Mentre i comuni mortali cercano una soluzione per i destini della Rai, annaspando tra rilancio, azzeramento, modernizzazione, l’“Eroe dei due Mondi” (di viale Mazzini prima, di Mediaset poi, ora deve accontentarsi del web e di sky), ha la panacea a tutti i mali e la regala al grande pubblico per innata generosità. «Vediamo se riusciamo a fare un ticket con Carlo Freccero per candidarci lui come presidente ed io come direttore generale della Rai e speriamo di trovare via via anche candidati a membri per il Cda» (che è «scaduto e scadente»), ha detto ieri Michele Santoro, a corto di fan e di ascolti. Il campione dell’informazione militante e il suo mentore al posto di Lorenza Lei e Paolo Galimberti (al quale ha dato del Ponzio Pilato) e voilà mamma Rai è salva. Fa sul serio? L’incendiario Michele non è un campione di umiltà e, soprattutto, non è uno sprovveduto, c’è da giurarci che la sua provocazione non finirà qui. «Vogliamo sfidare la commissione parlamentare di Vigilanza presentando i nostri curricula. Lo dovrebbero fare tutti». L’autocandidatura arriva al momento giusto e nel posto giusto: un convegno dal titolo “Rai. Cambiare la musica, cambiare l’orchestra” promosso dall’Italia dei Valori. Del resto tra Antonio Di Pietro e Santoro corre un profondo feeling, consacrato dai sermoni di Marco Travaglio e dalla matita velenosa di Vauro: per una lunga stagione televisiva l’inventore diSamarcanda e di Sciuscià ha utilizzato la verve populista e sgrammaticata di Tonino per mettere un po’ di sale al menù antiberlusconiano.
Se i nuovi assetti Rai non sono in cima ai pensieri degli italiani, per Santoro restano un’ossessione. «Sarebbe una maledizione non tornare più a viale Mazzini», ha detto più volte rimasto senza il giocattolino di Annozero. Dopo aver spolpato le casse di mamma Rai con la causa per l’ingiusto licenziamento che ha utilizzato per trasformarsi in una innocente «vittima della dittatura mediatica del Cavaliere», il teletrubuno ora sogna di ritornare dall’ingresso principale. Talvolta ritorna(no) e i telespettatori rischiano di passare dalla partitocrazia alla santorocrazia, la dittatura dell’informazione militante a senso unico mascherata da giornalismo on the road che fa parlare la ggente e le canta ai potenti. Dopo i servizi grondanti soddisfazione sui grillini, il popolo viola, il popolo rosa, i no tav, i black bloc che sbagliano ma sotto sotto hanno ragione, immaginiamo il pluralismo dei nuovi palinsesti targati Santoro. L’operazione soccorso rosso e arruolamento è partita, anticipata dalla sua ultima creatura, Servizio Pubblico: «Cerco compagni di strada per continuare il cammino della libertà». Ma non basta, Santoro vuole con sé Freccero, quell’elegante e nostalgico signore che dirige Rai4. Quel “genio” della televisione che qualche giorno fa, in una telefonata di insulti che ha fatto il giro del web, ha attaccato la Chiesa e Libero al grido di «giornale di merda, fascisti, io vi mando i forconi sotto la redazione». Davvero un bel curriculum da presentare alla Vigilanza per garantire una nuova governance di viale Mazzini in tandem con Santoro. Che alla festa del Fatto quotidiano dello scorso anno disse che «in tv ci vuole qualcuno che possa dire liberamente “Berlusconi fuori dalle balle”». Santoro e Freccero? «Il primo pensiero che evocano è quello di Totò e Peppino in salsa comunista», commenta il pidiellino Enzo Fasano, «però li abbiamo visti all’opera e c’è stato ben poco da ridere. Ricordiamo bene come sono riusciti a fare una rete militante nella Rai di Zaccaria. Figuriamoci cosa potrebbero combinare se avessero in mano tutta l’azienda».