Fiom in piazza contro il Pd: “Siete i lacchè dei padroni”
Bersani s’era rimboccato le maniche, ma solo sui cartelloni pubblicitari. Ora sta con i “padroni”, va a braccetto con i leader della Confindustria, ha festeggiato l’arrivo dei banchieri al governo con lo champagne. Non è più un “compagno”, o quantomeno è un “compagno che tradisce” la lotta operaia per inseguire poltrone e posti di comando. E quindi si becca i fischi. La piazza della Fiom era zeppa di bandiere rosse (e questo, in linea teorica, dovrebbe far piacere ai “democratici”) ma era anche rossa di rabbia. E quella rabbia si è riversata tutta sul Pd. Perché, se è vero che lo sciopero era sui diritti e sull’articolo 18, è altrettanto vero che le tute blu si trovavano a sfilare per le vie di Roma fino a piazza San Giovanni, perché il Pd pensa solo a mettere le mani sulla Rai fregandosene del destino dei metalmeccanici. Così, in un colpo solo, i vertici del partito si sono ritrovati come nemici quei comitati referendari che avevano coccolato, i collettivi studenteschi con i quali conservavano rapporti e gli alleati (attuali e futuri) in Parlamento e alle elezioni.
Gli slogan, più che contro il governo, sono stati tutti per Bersani & company. Decine di migliaia di manifestanti hanno dato vita a un corteo che ha finito per sgretolare la grande casa della sinistra. Persino il delegato della Cgil, Vincenzo Scudiere, è stato fischiato e interrotto da gruppi di lavoratori che invitavano la Camusso a indire lo sciopero generale.
Maurizio Landini, leader delle tute blu, ha preso di mira Marchionne (che «deve investire in Italia»), ma non ha risparmiato le bordate nel cortile di casa. Il nemico non è il Pd, ha cercato di dire Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci e comunista doc, ma si è scontrato con l’intera platea dei partecipanti alla manifestazione. In piazza non c’era il Pd, ufficialmente assente perché non ha ritenuto di confondersi con i No Tav, ma di fatto latitante per l’impossibilità di andare a braccetto con i metalmeccanici della Fiom e, contemporaneamente, sostenere il governo Monti. Una mossa sbagliata, secondo i manifestanti, con i quali hanno sfilato i senatori Vita e Nerozzi che, con Bassolino, hanno ritenuto di disobbidire a Bersani. Tante le bandiere rosse, una marea (secondo le stime hanno sfilato in 50mila) di volta in volta sventolate da metalmeccanici, aderenti al movimento di difesa dell’acqua pubblica, No Tav, studenti della Sapienza ed esponenti di Sel, fianco a fianco con i rappresentanti dell’Italia dei valori. La foto di Vasto (Bersani, Vendola e Di Pietro sullo stesso palco) non solo è superata, è diventata vera e propria archeologia politica. «Manca il Pd? Ci sono il suo popolo e i lavoratori», ha detto il leader di Sel, Nichi Vendola. «Penso – ha aggiunto nel tentativo di capitalizzare il dissenso anti-Bersani – che chiunque non sia venuto qui oggi abbia perso qualcosa di importante». Una constatazione che per la piazza è addirittura scontata: «Tra-di-ti dal Pd, tra-di-ti dal Pd», è stato lo slogan più gettonato da chi pensa allo stato maggiore dei democratici come a una casta sclerotizzata di persone che siedono nel Palazzo e hanno perso la percezione della propria base. «Oggi qui – ha aggiunto Vendola – c’è molto popolo democratico, e questa è la cosa più importante. Non possiamo pensare di salvare il Paese senza un’alleanza con questo popolo. Se uno mi chiede qual è la mia coalizione non ho dubbi: gli rispondo che è questa».
Ma non c’era solo Vendola. Francesco Barbato, dell’Idv, faceva il vip stringendo mani e dispensando sorrisi assieme a Elio Lannutti. Poi ha tirato le somme: «Il Pd targato Enrico Letta preferisce stare con i poteri forti e sicuramente alle prossime elezioni prenderà due voti, quelli di Marchionne e Montezemolo. Anzi anche un terzo: quello di Caltagirone». Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil che rappresentava Susanna Camusso impegnata a New York, è riuscito a intervenire a fatica: fischi, slogan e cori lo sovrastano, soprattutto nel momento in cui ha fatto riferimento alla trattativa sulla riforma del lavoro, parla della Fiat o si sofferma sulla «necessaria convivenza» con il governo Monti. «Noi della Cgil – ha rivendicato – siamo la vera centralità. Ci stiamo impegnando in un confronto serio perché vogliamo raggiungere un accordo che permetta di rilanciare l’economia». Parole che la piazza non ha voluto ascoltare: «Buffone, buffone», la risposta dei manifestanti. E gli appelli sono cascati nel vuoto.
Paolo Ferrero, leader di Rifondazione comunista, gongolava: «Con questa grande manifestazione l’Italia che è contro il governo Monti e contro la Confindustria è scesa in piazza. Oggi è risultato chiaro che il mondo della politica si è diviso in due: da una parte chi appoggia il governo e dall’altra chi appoggia i metalmeccanici. È evidente che la foto di Vasto non c’è più e noi proponiamo di sostituirla con la foto di piazza San Giovanni». Un auspicio che, al momento, non ha nessuna possibilità di concretizzarsi. «Il partito della Fiom – chiosava Giorgio Merlo, parlamentare del Pd – ha confermato, per l’ennesima volta, di essere il leader della sinistra antagonista, radicale e massimalista del nostro Paese. Ovviamente, come già si sapeva – ha aggiunto – un’esperienza politica lontana da qualunque cultura di governo e da coloro che si assumono con coraggio e coerenza la responsabilità del governo nella società contemporanea. Sarebbe curioso se adesso nel Pd qualcuno pensasse di stringere alleanze con chi fa dell’antagonismo la sua cifra politica. Le nostalgie del secolo scorso forse è bene consegnarle alla storia. Anche quando serpeggiano nel centrosinistra». Tutto chiaro? No, anche in questo Bersani e i suoi riescono a fare confusione. Quello che per Merlo ha un significato di rottura, per Michele Meta capogruppo Pd nella commissione Trasporti della Camera deve spingere al compromesso. «I lavoratori scesi in piazza – ha sostenuto – chiedono di non essere lasciati soli nella lotta per la difesa dei loro diritti. Si tratta di richieste legittime che vanno ascoltate con attenzione e senza ipocrisie». Ognuno, come di vede, ha tentato di tirare l’acqua al proprio mulino. I metalmeccanici della Fiom, in ogni caso, non sono l’intero Paese e non rappresentano nemmeno l’intero mondo dei metalmeccanici italiani, né quello degli operai del Lingotto. Marchionne, infatti, ha avuto buon gioco nel far sapere che ieri in Fiat l’adesione allo sciopero non aveva superato il 5,7%. Pochi? Fate voi: in occasione del precedente sciopero generale della stessa Fiom erano stati il 13,7%.