Bersani: montiano a Roma, anti-montiano a Parigi

20 Mar 2012 20:38 - di

Volano gli stracci a sinistra e ancora un volta è colpa di Pier Luigi Bersani double-face, che da molto tempo non ne azzecca una, direbbe quel fine linguista di Antonio Di Pietro. A scatenare lo scompiglio tra i compagni, l’ironia dei notisti e, prima ancora, una baruffa tra l’Unità e Repubblica è la trasferta parigina del segretario del Pd a sostegno di François Hollande, lo sfidante di Nicolas Sarkozy alle presidenziali francesi. La piccola Unità, che all’evento ha dedicato domenica quattro pagine con tanto di apertura in prima al grido di “Basta con l’Europa egoista”, ha attaccato  il quotidiano di Largo Fochetti per non averne scritto una sola riga. Guerra in casa e ieri sulla rete era tutto un rincorrersi di battute (anche sul povero Hollande che ha dovuto subire gli “auguri” portasfiga del collega italiano), di sfoghi degli ingenui progressisti under 30 che si esibiscono nella vivisezione della crisi della sinistra. «Che soddisfazione quando a sinistra litiga! Speriamo nella scissione del Pd» è il primo commento al sito di Frontpage di Rondolino e Velardi, e ancora: «Andrei oltre – posta Liutprando — tutta la sinistra è inutile»; va giù presante Torquemasa58 che scrive «il disertore spera sempre che l’esercito dal quale è fuggito esca sconfitto nella battaglia perché questo è per lui il modo più sicuro per tornare vergine».
Sembra cucito su misura di Bersani, che a Roma fa l’ultramontiano e passati i confini, spara a zero contro l’egoismo dei tecnici accodandosi ai leader progressisti europei e accalorandosi ai temi della politica “di professione”. Che lo dica Massimo D’Alema, che ha lavorato in prima persona per la riuscita dell’operazione “rinascita dell’Europa”, non fa una piega. Defilato dal Palazzo, può permettersi di auspicare il ritorno dei partiti sul palcoscenico senza apparire schizofrenico. Che lo faccia il principale sostenitore a sinistra dell’investitura di Monti a Palazzo Chigi fa sorridere. A Vasto più dipietrista di Tonino, a Palazzo Chigi più montiano di Monti, a Parigi più socialista di Hollande. Ma lo possiamo capire, finché non si rassegnerà ad andarsene in Africa (per davvero, non come il collega Veltroni) è costretto a inventarsene una al giorno per tenere il timone del partito in attesa delle primarie. «L’Europa più egoista e cinica è arrivata alla fine del suo ciclo» dice cercando l’applauso dei francesi. Ma è un boomerang perché le sue parole arrivano anche da noi e confondono la base che capisce sempre meno la navigazione a vista del Pd. Un esempio? Nemmeno un mese fa 25 governi europei su 27 (anche l’Italia) hanno firmato un nuovo Trattato di Bilancio: a Parigi Bersani ha detto che il trattato non va bene, che «è una resa agli interessi della finanza» e che i progressisti europei «devono alzare la voce»; a Roma, però, con i voti dei suoi in Parlamento tiene in piedi il governo delle banche egoiste. Qual è il vero Bersani? Lo sveleranno le primarie. Nel gioco delle correnti i veltroniani sono sempre stati i “fan delle primarie”, mentre bersaniani e dalemiani non hanno mai nascosto le loro perplessità – osserva Fabrizio Rondolino – il fatto è che Bersani in realtà non ha fatto nulla di quello che aveva promesso, sia a livello organizzativo che a livello politico. Da un lato l’«abbraccio di Vasto», dall’altro il profilo riformista di un partito che sostiene il governo Monti. Ancora più risibile il passaggio parigino di Bersani sulla vittoria contro il Cavaliere («per una volta noi italiani abbiamo aperto la strada. L’ultimo anno si è portato via il governo Berlusconi, so che siete contenti anche voi, gli amici di Hollande italiani hanno mandato a casa Berlusconi»).
E che il nervosismo si sia impadronito della sinistra politica e non, lo conferma il fuor d’opera dell’Unità che accusa il quotidiano di Ezio Mauro di avere appunto censurato il nuovo manifesto della sinistra europea. Il fattaccio (a leggere Francesco Cundari) è frutto della scelta qualunquista che da tempo «insiste molto sul tema dell’inadeguatezza dei partiti, sempre più spesso chiamati in causa come tali, senza distinzione». Le redazioni progressiste sarebbero passate vergognosamente alla difesa dell’albertosordismo italiano, «il trionfo politico e antropologico dell’italiano-tipo è stato in questi anni assoluto e definitivo, anche nella cultura di sinistra».
Il quotidiano di Mauro non risponde direttamente ma Carlo De Benedetti, in una recente intervista, non ha girato molto attorno al tema: «Bersani sarà pure una una bravissima persona, ma appartiene al passato. Con Monti l’Italia ha voltato pagina». Del resto il giornale fondato da Eugenio Scalfari, azionista doc, non potrebbe non stare dalla parte dell’establisment montiano, del sogno tecnico che, oltre ad aver fatto da passepartout per aprire la stagione post-berlusconiana, ha svuotato la politica della sua autorevolezza e dignità rendendola un guscio vuoto da esibire al ludibrio popolare.

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