Roma 2020: ma quali conti, è tutta colpa di Merkozy
Macché conti in ordine, macché sobrietà. E non c’entrano neanche le infrastrutture, il ricordo dei Mondiali del ’90 o le strategie di Alemanno. La verità è che Roma, nel 2020, non ospiterà le Olimpiadi per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le motivazioni addotte dal governo per il gran rifiuto. I Giochi, infatti, sono al centro di complesse ragnatele di interessi. Con buona pace di Pierre de Coubertin, all’ombra dei cinque cerchi si sviluppano strategie geopolitiche e business miliardari. Alta politica, insomma. Roba che l’Italia sottoposta a cura tecnocratica non può permettersi: non vorremo mica essere una potenza, sia mai che Parigi e Berlino si offendano…
Il quadro
La decisione sulla città ospitante la XXXII Olimpiade verrà annunciata il 7 settembre 2013 a Buenos Aires in una sessione plenaria del Comitato olimpico internazionale. I candidati sono Baku (Azerbaigian), Doha (Qatar), Istanbul (Turchia), Madrid (Spagna) e Tokyo (Giappone). Roma, come sappiamo, non ha ricevuto le garanzie economiche dal governo, quindi è stata costretta a ritirarsi dalla corsa. Come finirà? Molto dipenderà dalla partita a scacchi fra Merkel e Sarkozy, gli amici-rivali che di fatto tengono le briglie del potere in Europa. Pur non avendo proprie città fra le candidate, infatti, i leader di Germania e Francia hanno entrambi delle preferenze piuttosto chiare: Parigi fa il tifo per Tokyo mentre Berlino gradirebbe molto vedere la bandiera con i cinque cerchi sventolare su Istanbul. Vediamo perché.
L’asse Parigi-Tokyo
La candidartura della capitale nipponica è stata presentata dal Comitato olimpico giapponese il 16 luglio 2011. Il paese del Sol Levante aveva già tentato di ottenere i Giochi del 2016, poi assegnati a Rio de Janeiro. Dopo la catastrofe di un anno fa, con terremoto e conseguente tsunami, anche la candidatura per il 2020 sembrava sfumata. Ed è bene ricordare che a poche settimane dal sisma Sarkozy si recò in visita a Tokyo, chiedendo, come segno di riconoscenza per gli aiuti francesi una sorta di investitura ufficiale per ottenere le Olimpiadi all’ombra della Tour Eiffel da parte della nazione che fino a quel momento sembrava in pole position. Del resto Sarkò aveva già dovuto inghiottire il rospo dell’assegnazione degli imminenti Giochi del 2012 a Londra. Per il premier francese, insomma, la manifestazione sportiva internazionale è un vero e proprio pallino, vuoi per grandeur, vuoi per risollevare le sorti di una imminente campagna elettorale che si annuncia durissima. Poi il miracolo nipponico, la ricostruzione lampo e Tokyo è tornata in lizza. Logico, per la Francia, fare un passo indietro, sperando che il favore venga ricambiato in occasione del 2024, anno in cui peraltro cade il centenario dei Giochi di Parigi 1924. Ma c’è di più. Il Fondo Monetario Internazionale (il cui direttore generale è Christine Lagarde, guarda caso una francese…) aveva chiesto al Giappone di contribuire agli interventi di salvataggio dei paesi dell’Eurozona colpiti dalla crisi del debito. Tokyo, peraltro, ha giá acquistato circa il 20 per cento delle obbligazioni emesse dal fondo salva-stati Efsf. E pochi giorni fa, il ministro delle finanze giapponese Jun Azumi ha detto che il suo paese e la Cina si impegneranno, attraverso il Fmi, a contribuire a risolvere la crisi europea del debito. L’organismo sovranazionale ha proposto il mese scorso di aumentare i propri fondi di prestito fino a cinquecento miliardi di dollari, per isolare l’economia globale contro il deterioramento della crisi del debito sovrano in Europa. Dagli Usa, però, hanno risposto picche. È bene a questo punto ricordare che fra i componenti del comitato esecutivo dell’Fmi Tokyo è secondo, per importanza, ai soli Stati Uniti. Seguono Germania e Francia. L’Italia, che non rientra nel comitato permanente, è attualmente la settima forza. Ipotizzare che Monti abbia rinunciato alle Olimpiadi per non pestare i piedi a quest’asse franco-nipponico in un organismo internazionale così importante per il nostro futuro è davvero un’idea campata in aria?
Il controasse Berlino-Istanbul
L’altro fronte caldo della geopolitica olimpica passa sulla direttrice Berlino-Istanbul. Che la Merkel sponsorizi apertamente la candidatura turca non è un mistero per nessuno (peraltro l’ex città del Muro è personalmente in lizza per i Giochi del 2024, dove dovrà vedersela, stavolta non per interposta città, contro la capitale francese). L’Ue e gli Usa è già da un po’ che stanno corteggiando Erdogan per ragioni sia politiche che finanziarie e la Germania ha con la Turchia una partnership privilegiata, anche in relazione alla forte ondata immigratoria turca che da anni investe il paese mitteleuropeo. Immigrati con diritto di voto, che ad Angela fanno decisamente gola. Il vicepresidente del Comitato olimpico turco, Hasan Arat, nicchia: «È veramente troppo presto per parlare di sostegno internazionale. Ora siamo concentrati a dimostrare a chi deve prendere la decisione che Istanbul 2020 merita di essere nella shortlist delle cittò candidate». L’appoggio tedesco, tuttavia, è sin troppo smaccato per essere ricondotto a un mero rumor. Palazzo Chigi, ovviamente, è a conoscenza di tutto ciò. Pare, peraltro, che non tutti i membri del governo abbiano appoggiato il niet di Monti ai Giochi. Corrado Clini, per esempio, si è speso con una certa forza in favore dell’Olimpiade romana, ma anche Anna Maria Cancellieri e Corrado Passera propendevano per il sì. Fra chi avrebbe voluto le Olimpiadi a Roma pare ci fosse anche il ministro degli Esteri Terzi, che auspicava di far saltare i piani tedeschi per aumentare il peso politico dell’Italia sullo scacchiere internazionale. Nulla da fare, una politica estera indipendente non è nell’agenda dei tecnici.