Celentano, Santoro, Grillo: e alla fine, ad ascoltarli, non rimase più nessuno
Alleluja, forse è finito il tempo dei “predicatori”. La premiata ditta Grillo-Celentano-Santoro, fiore all’occhiello della categoria e icona del popolo viola, è a corto di ossigeno e di pubblico: criticata ovunque, oggetto di sfottò sul web, in calo di credibilità. In più, non hanno più grande appeal in tv e nemmeno tra i navigatori di internet. Che cos’è successo? Innanzitutto l’uomo che era considerato (dalla sinistra) il re dell’Auditel – Santoro – da quando non ha la comoda vetrina della prima serata Rai ha indici di ascolto ridotti ai minimi termini. E questo, di per sé, dimostra che tutti sono utili ma nessuno è indispensabile, specie se si parla di piccolo schermo. Ma il buon Michele credeva di aver fatto il colpaccio: invito Celentano, reduce dal Festival di Sanremo, e ridivento padrone degli ascolti televisivi. E invece è accaduto il contrario perché la puntata di “Servizio pubblico” con il Molleggiato ha ottenuto un misero 6,7 per cento di share con poco più di un milione e mezzo di spettatori. Le ultime puntate del programma di Santoro, invece, avevano come media il 7,6 per cento e quasi due milioni di spettatori. In sostanza, è arrivato Celentano e persino il residuo gruppo dei nostalgici di “Annozero” hanno cambiato canale. E Grillo? Anche a lui le cose non vanno granché bene. Credeva di fare un’altra crociata populista e s’è beccato le critiche. I fatti: nel suo blog appare un post, «è immorale che ci siano persone che guadagnano in un anno quanto un operaio guadagna nel corso di tutta la sua vita lavorativa». E ancora: «Non vengano a dirmi che, se uno è bravo, sono soldi meritati». Si aspettava gli applausi, ha avuto i fischi. Il senso delle risposte è stato: «Ma parli proprio tu?». Ironia della sorte, in molti ora attendono «con ansia la redistribuzione del reddito di Grillo». Di chi sia la paternità del post è un mistero alla Agatha Christie. L’unica certezza è che Santoro, Grillo e Celentano se la passano maluccio.