Monti apre la “Smorfia” e dà i numeri: vi regaliamo un paradiso (di sogni)

23 Gen 2012 20:45 - di

Manca solo il terno secco e il quadro è completo. Mario Monti e la sua squadra di “professoroni” parlano con la classica “Smorfia” stretta tra le mani, danno i numeri che poi tutti vanno a giocare nelle ricevitorie del Lotto, si avventurano pure nell’interpretazione dei sogni (loro) e delle lacrime (altrui). Che succederà grazie alla cura dei tecnici? Il Pil crescerà dell’1,5 per cento ogni anno, i prezzi diminuiranno, i consumi aumenteranno e gli stipendi pure. Come programma di governo non c’è male, ma quanto al conseguimento degli obiettivi la verifica è d’obbligo. Le liberalizzazioni, infatti, almeno nell’immediato, non fanno sviluppo. E Monti e Catricalà lo sanno molto bene. In questi giorni, quindi, stanno vendendo la pelle dell’orso prima di averlo catturato. Della fase due, quella che doveva fare seguito alla stangata di fine anno per incentivare consumi e occupazione, per ora non si intravede neppure l’ombra. Anche il disco verde ai giovani, con la possibilità di aprire un’azienda con un solo euro, ha poco senso se si considera che una volta effettuata la registrazione dell’impresa c’è bisogno di investimenti concreti per farla partire. E questi, con le banche che lesinano il credito, non si capisce davvero da dove possono arrivare.

Ricetta di lungo periodo
Fare considerazioni di questo tipo, ovviamente, non significa essere contrari alle liberalizzazioni. In Italia un’azione di questo genere è necessaria, ma il governo non può limitarsi a far volare gli stracci. Assicurazioni, banche, energia, trasporti, poste e municipalizzate sono i settori su cui incidere, ma di pari passo si deve dare corso a quello che serve per far ripartire l’economia e la produzione. Senza questa azione tutto rimane come prima. Il governo aveva l’obbligo di tenere conto di tutte queste variabili. Invece non l’ha fatto. L’esecutivo dei tecnici non ha avuto la sensibilità politica necessaria, ma è stato deficitario anche sul fronte puramente pratico. Catricalà e Passera si sono seduti alla scrivania, hanno aperto il computer e lavorato sui dati della Banca d’Italia e dell’Ocse. Del resto, Antonio Catricalà, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha richiamato proprio gli studi di Via Nazionale e dell’associazione parigina per rivendicare la fondatezza delle cifre fornite (in dieci anni gli stipendi aumenteranno del 12 per cento, il Pil dell’11 e i consumi dell’8). Dimenticando che, nelle ultime settimane, la situazione è cambiata. La liberalizzazioni non sono altro che un moltiplicatore, ma se l’economia non cresce c’è poco da moltiplicare (moltiplicando lo zero per qualsiasi numero il prodotto è  sempre zero). A breve,nessuna novità. E sul lungo periodo? Tutto è possibile. Ma, come amava dire John Maynard Keynes, il lungo termine è una «guida fallace per gli affari correnti», perché per allora saremo tutti morti.

La storia si ripete
Monti, in sostanza, sembra parlare e agire per conto dell’Europa e dei mercati. Un’opera che ci ricorda quanto in altri tempi ha fatto il duo Prodi-Ciampi quando, pur di dimostrarsi più moderni di altri e di accreditare la nostra corsa all’euro, non esitarono a privatizzare svendendo quote importanti del patrimonio dello Stato italiano. Clamoroso il caso Telecom, con l’azienda pubblica italiana abbandonata al nocciolino duro e alla successiva Opa dei "capitani coraggiosi", da cui venne fuori carica di debiti. I tutto mentre la Francia si teneva ben stretta France Telecomn e la Germania non rinunciava a Deutsche Telecom: tutte e due aziende rigorosamente pubbliche. Monti su questo fronte sembra aver capito la lezione. Tanto che negli scorsi giorni da Londra ha fatto sapere che ulteriori privatizzazioni non sono all’ordine del giorno: i mercati sono troppo depressi e si rischierebbe di svendere. Sulle liberalizzazioni, invece, sta facendo un errore analogo a quello che fecero allora Prodi e Ciampi: si candida ad essere più realista del re. E il re in questione è la Germania di Angela Merkel, che ci impone sacrifici ma continua a non cambiare atteggiamento nei confronti dell’Italia. Proprio la scorsa settimana, infatti, da Berlino hanno risposto alla richiesta di aiuto del presidente del Consiglio affermando che dobbiamo cavarcela da soli. I tedeschi non hanno dubbi: per noi la ricetta si chiama austerità. E pazienza se così facendo l’Italia importerà qualche Mercedes in meno, ci guadagneranno di più con la riduzione del nostro export sui mercati (in Europa siamo i principali competitor dei tedeschi), dovuto alla minore penetrazione del made in Italy.

Evasori all’angolo
Il blitz della Guardia di finanza a Cortina durante le feste di fine anno vale da solo a definire quello che è l’atteggiamento del governo dei tecnici nei confronti del fisco. La lotta all’evasione si fa più con il lavoro di tutti i giorni che con gli show. Qualche risultato la danno e, poi, hanno un ritorno forte in termini di immagine che certamente non guasta. Così gli italiani, indottrinati a dovere dalla grande stampa, stanno cominciando a pensare che finalmente si sta mettendo mano a una concreta lotta all’evasione. Invece non è così. L’esecutivo Monti si sta dando da fare per mettere il sale sulla coda a chi non paga le tasse, ma il governo di centrodestra non aveva certo dormito. Proprio ieri, infatti, la Guardia di finanza ha reso noto che nel 2011 sono stati scoperti 50 miliardi di euro di reddito non dichiarati, con oltre 7.500 italiani che non hanno pagato nemmeno un euro di tasse e 8 miliardi di Iva non versata. Un riscatto a pieni voti per Silvio Berlusconi, dipinto dai partiti di sinistra e da certa stampa nostrana come il paladino degli evasori. In realtà il Cavaliere, che aveva risposto a brutto muso alla Merkel quando gli aveva chiesto di aumentare le imposte e di tagliare le pensioni, si era in questo modo sottratto ad una trappola mortale. I tedeschi ci spingono a fare sacrifici perché in questo modo la nostra competitività nei loro confronti diminuisce. Qualche cifra aiuta a capire: dopo l’ultima manovra di Montil’Iva è tra il 21 e il 23%, la Germania è ferma al 19; la pressione fiscale tra il 45 e il 47% (Berlino tra il 36 e il 37); la pressione fiscale sulle pmi del 68% (i tedeschi del 48).

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