Ma che ipocrisia quegli scalfariani in articulo mortis

30 Gen 2012 20:38 - di

I compagni francesi non erano ancora stati avvertiti del cambio di programma. C’è da capirli, le astuzie e le capriole del comunismo italico non sono mai state semplici da seguire. Fu così che nel 1992, quando fu eletto Presidente della Repubblica il democristiano di destra Oscar Luigi Scalfaro, Liberation titolò in prima pagina: “Una elezione che ha sapore di cenere”. Qualcuno, a Botteghe Oscure, avrebbe dovuto fare una telefonata a Parigi e avvertirli che il bigotto, conservatore, moralista Scalfaro, il figlioccio di Scelba – già creatore della Celere e bastonatore d’operai –  e il nemico dell’apertura a sinistra era ora il nuovo idolo degli ex comunisti di casa nostra. E pensare che nel 1972 l’Unità parlava senza mezzi termini di «ministro reazionario», al quale imputava «intolleranza, spirito di crociata contro tutto ciò che è nuovo e moderno, ostilità al carattere laico della scuola e dello Stato». Sì, l’Unità, lo stesso quotidiano che ieri titolava: “L’uomo della Costituzione”, con fotone dell’ex Presidente che saluta bonariamente come un Piccolo padre cattolico. In mezzo ci sono quarant’anni, è vero, anche se non ci risulta che sul tema morale e religioso sia Scalfaro che l’Unità abbiano mai cambiato le reciproche posizioni da allora. Ma forse ricordiamo male noi.

Scalfariani in articulo mortis
Ma si sa, la coerenza non è di questo mondo, soprattutto di questo mondo politico. Ed è così che ieri ci siamo ritrovati in mezzo agli scalfariani dell’ultim’ora, dei redenti in articulo mortis, di quelli che saltano sempre sul carro… funebre. Nulla di male, ovviamente, nel mettere da parte, di fronte al mistero della morte, l’asprezza delle polemiche politiche. Nessun problema nel riscoprire la pietas e seppellire per un giorno l’ascia di guerra. L’importante è non scivolare dal buon gusto all’ipocrisia. Tant’è che un vecchio furbastro come Pierferdinando Casini si affretta a mettere le mani avanti: «È stato anche scomodo, a volte non siamo stati d’accordo con lui ma gli dobbiamo profondo rispetto», ha detto ieri. Già da qualche ora, infatti, circolavano in rete e sui giornali un paio di dichiarazioni del leader centrista. La prima è di queste ore: Scalfaro, dice, «è stato un uomo coerente, ha sempre difeso il Parlamento e la sua centralità istituzionale, gli italiani devono un grande rispetto a questa figura che è stata un importante presidio democratico cristiano». Eppure ai tempi del ribaltone orchestrato proprio dall’Oscar Luigi, Pierferdy scriveva: «Il voto del 27 marzo ha stabilito che Berlusconi ha vinto e il Pd ha perso. E invece ora, a tavolino, si è deciso il contrario. Questo è un ribaltone mascherato, si doveva andare a elezioni». Non erano critiche da poco, tanto più che nel mirino finiva la parzialità dell’allora Presidente, la sua capacità di garantire l’effettiva sovranità popolare. Questioni rilevanti, per uno che finisce per essere ricordato come difensore inflessibile della Costituzione. Chi, del resto, Scalfaro proprio non lo digeriva era quel Gianfranco Fini che lo definisce «un padre della Repubblica». Eppure, sempre all’epoca del ribaltone, l’allora leader di An usava in Parlamento toni barricaderi: «L’accusa di vilipendio me l’assumo e ne rispondo di fronte a tutti gli italiani, se vilipendio significa aver detto che Scalfaro ha fatto di tutto perché ci fosse un governo, ma un governo il più lontano possibile dalla volontà elettorale espressa il 27 marzo». E sul governo Dini uscito dalle alchimie del Palazzo, il futuro presidente della Camera tuonava: «Noi non avevamo escluso di votare questo governo, ma solo a condizione che fosse una parentesi. Ma se durasse di più sarebbe un governo che va a commissariare la politica, e cancella il voto del 27 marzo». Ma questa sui governi tecnici e il commissariamento della politica è un’altra storia. Del resto anche a sinistra non sono sempre state rose e fiori: ai tempi dei presunti fondi neri del Sisde, l’allora Pds non nascose l’imbarazzo per la vicenda: «Non è necessario che lo faccia pubblicamente, ma il Presidente della Repubblica, magari con i giudici, chiarisca quali sono i “fini istituzionali” di cui ha parlato nel suo intervento», si permetteva di obiettare rispettosamente Franco Bassanini. Che tuttavia chiosava: «È imbarazzante che Scalfaro dica che quel che ha detto vale anche per tutti i suoi predecessori al Viminale. Questo significa che c’è una documentazione? E che non è stata distrutta? Anche per questo sarebbe opportuno che almeno i magistrati ne sapessero di più».

I (pochi) coerenti

Insomma, altro che padre della Repubblica, custode della Costituzione e via sbrodolando: fra i passati inquilini del Quirinale Scalfaro è stato uno dei più contestati e non per questioni di scarso rilievo. Eppure la beatificazione post mortem è sempre dietro l’angolo. È un segno dei tempi, del resto: l’Oscar Luigi è un simbolo perfetto per questi tempi “sobri”, grigi, bacchettoni, bigotti, forcaioli (ma solo nei confronti degli altri). Non tutti, comunque, in queste ore si sono fatti prendere dall’ipocrisia. Ai funerali dell’ex inquilino del Quirinale, infatti, è stata notata l’assenza degli esponenti del Pdl, anche se nel centrodestra non è mancato chi – è il caso di Gianni Alemanno – ha fatto autocritica per le polemiche di un tempo. Fra i più franchi Bobo Craxi, del Partito socialista italiano, che non ha rinunciato a una polemica contro l’ex Presidente. «Amato – ha detto – sostiene che Scalfaro fu sempre leale con Craxi e il Psi, ma l’impressione più fondata si regge esattamente sul contrario, salvo soffrire di amnesia». Scalfaro, per il figlio del defunto premier Bettino, «si insinuò nelle divisioni socialiste, non fu di parola con Craxi (con il quale si era impegnato) e, successivamente, durante il periodo di “Mani Pulite”, non rispose neppure alle lettere che Craxi gli inviava, in qualità di parlamentare ancora in carica, al fine di fare chiarezza su quel torbido periodo. In altre parole fu sleale e ostaggio dei nuovi poteri». In Campidoglio, invece, Francesco Storace ha lasciato l’aula Giulio Cesare durante il minuto di silenzio, seguito da una decina di consiglieri della maggioranza. «Massimo rispetto per la memoria ma non condivido l’esaltazione del settennato di Scalfaro», ha detto.

Commenti