Sanità: ora attendiamo una “rivoluzione culturale”

14 Dic 2011 19:59 - di

La grave crisi che sta attraversando il Paese, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, ha inesorabilmente condizionato le politiche sociali poste in essere dal precedente governo di centrodestra. Ben sette Paesi, tra cui l’Italia, hanno dovuto cambiare il proprio esecutivo, o convocare le elezioni anticipate, per far fronte alle ingenti richieste dell’Europa, instaurando politiche tese ad aggredire il debito pubblico che, com’era facile supporre, si sono poi tradotte in ulteriori sacrifici per i cittadini. Sul fronte della tutela della salute, molte sono le cose da fare considerato che il bilancio socio-assistenziale impegna, ormai, circa l’80% delle risorse economiche delle Regioni. Ne parliamo con il senatore Cesare Cursi, profondo conoscitore dell’universo sanitario nazionale e attuale Presidente della Consulta Salute e Affari sociali del Pdl.

Le Regioni si stanno apprestando a concordare con il nuovo governo tecnico un nuovo Patto per la salute. Un’occasione da non farsi sfuggire?

Non c’è dubbio. La maggiore autonomia insita nel mandato tecnico dell’esecutivo Monti non potrà che aiutare a prendere quelle decisioni che in un vincolo di coalizione non sempre sembrano praticabili. Ma ci vuole un nuovo modo di pensare la sanità. Ci vuole il coraggio di ridisegnare non il nostro welfare, che è tra i più validi al mondo e non sarebbe compito di un governo tecnico, ma il sistema organizzativo che ne è alla base.

Il federalismo, esteso in ambito sanitario, potrà contribuire a questo cambiamento?

Il federalismo, come da noi inteso, sarà uno strumento che responsabilizzerà sempre più le Regioni, aiutando quelle “meno virtuose” a raggiungere i traguardi conseguiti da quelle con maggiore rating. Ma tutto questo non sarà immediato, ci vorrà del tempo. Noi abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale sul fronte della tutela della salute da subito.

Insomma una ricetta forte per cambiare l’approccio organizzativo del sistema.

Proprio così. Innanzitutto dovremo partire dalla convinzione comune che dal 2000 ad oggi la spesa sanitaria, quella a carico del servizio sanitario nazionale intendo, è passata da 67 a 108 miliardi di euro, il che rappresenta un trend insostenibile. In dieci anni è quasi raddoppiata. Questo ci pone di fronte alla esigenza di pensare a sistemi di finanziamento alternativi, o meglio integrativi.

Non penserà alle assicurazioni private di stampo americano?

Non ho nulla contro le assicurazioni che peraltro già esistono e vengono usate da migliaia di cittadini. Quello che ho in mente è tutt’altra cosa. Definire un sistema integrativo della spesa attraverso l’istituzione di appositi fondi la cui costituzione è agevolata da disposizioni (cioè sgravi e/o incentivi), di tipo fiscale. Lo Stato scommetterà su stesso: chi vorrà accantonerà somme defiscalizzate in cambio della propria aspettativa di salute. Chi non potrà, continuerà a ricevere l’attuale standard assistenziale. Già in Italia circa 3 milioni di persone risultano iscritte a fondi integrativi, di cui circa 1,5 milioni dipendenti e altri come parenti e pensionati.

Ha parlato di ammodernamento del sistema organizzativo. Qualche indizio?

Ho parlato di sistema perchè alcuni, già validi, assicurano l’equilibrio di bilancio a Regioni che peraltro offrono livelli di assistenza elevatissimi. Il che significa che non sono poche le risorse a disposizione ma che, da taluni, vengono usate male.
Il primo indizio sarebbe la lotta all’inappropriatezza delle prestazioni che però non può rimanere solo uno slogan. Da molti anni i Governi si accaniscono – senza risultato – su questo argomento. Serve modernità, solo così si può vincere la sfida. Più informatica nelle aziende sanitarie, la possibilità concreta di vedere on line prestazioni fornite e risultati conseguiti, più sanità digitale attraverso l’uso massiccio di ricetta e fascicolo sanitario elettronico, ricorso alla medicina in rete e telemedicina.

Sarebbero strumenti sufficienti per un sistema sanitario più parco nella spesa?

Sarebbero innovazioni possibili nell’immediato e conferirebbero enorme modernità al sistema. In più, e questo è il dato che a me sta più cuore, maggiore tecnologia significa anche maggiore possibilità di controllo da parte degli organi preposti e quindi più facile individuazione dei punti di debolezza. Inoltre, maggiore concorso del privato di qualità, l’“outsourcing”, il “project financing” dovranno essere strumenti di efficacia ed efficienza del sistema accanto ad un servizio pubblico d’eccellenza che troviamo in molte parti del Paese.

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