“Re Giorgio”? Ambiguo come lo era Togliatti
Un po’ lord, un po’ Togliatti. È questo il ritratto del presidente Napolitano che emerge dal libro del giornalista del Fatto Fabrizio D’Esposito su Re Giorgio (Aliberti, pp. 190, € 17,00): la storia di un comunista atipico bravo a riconoscere i suoi errori. Ma solo a posteriori.
D’Esposito, il suo è l’ultimo libro uscito sulla figura del presidente della Repubblica in pochi mesi. Perchè occuparsi ancora di lui?
Diciamo che, per quanto mi riguarda, ho cercato di approfondire il personaggio con luci e ombre. E partendo dall’attualità…
Cioè?
Pensiamo alla piazza del 12 novembre, quella che festeggia la caduta di Berlusconi e che si raduna esattamente nella piazza del Quirinale…
Da dove deriva questa fama?
Be’, nell’immaginario collettivo Napolitano incarna il ruolo dell’uomo saggio. In realtà è stato il più politico degli inquilini del Quirinale: pensiamo solo alla mossa strategica di nominare Monti senatore a vita prima di farlo premier…
Basta questo per farne un eroe della sinistra?
Diciamo che, in generale, Napolitano incarna agli occhi dell’opinione pubblica il ruolo dell’unica opposizione che ci sia stata a Berlusconi.
Ed è normale che una personalità istituzionale e teoricamente sopra le parti assuma questo ruolo?
Vent’anni di Berlusconi hanno rappresentato una grande anomalia, era normale che tutto questo dovesse finire con un’altra anomalia.
Così come è un’anomalia il fatto che un Capo dello Stato repubblicano venga normalmente considerato alla stregua di un monarca, come accade nel titolo del suo libro…
La definizione ha peraltro un precedente illuminante: da ragazzo Napolitano era soprannominato “il principe”, per via dei modi aristocratici e per una certa somiglianza con re Umberto di Savoia…
E lui come reagiva?
Si infastidiva, diceva: «Allora chiamatemi Lord Kerrington», alludendo all’ex segretario generale della Nato. Del resto è sempre stato il più anglofilo dei suoi. Comunque, tornando alla domanda, è normale che in un vuoto del genere la sua figura risulti così autorevole da farlo sembrare un monarca repubblicano.
E del Napolitano comunista che diciamo?
I suoi denigratori hanno sempre detto che lui è il campione degli errori riconosciuti… “dopo”. Pensiamo all’invasione dell’Ungheria. Pensiamo a una lunga tradizione antieuropeista cancellata poi dagli ultimi vent’anni di europeismo. È stato un comunista al tempo stesso di maggioranza e di minoranza, tipica espressione della destra amendoliana. Ha condotto per anni una battaglia riformista che però non è sfociata in un vero partito socialdemocratico. Il che ha favorito Berlusconi.
Che c’entra ora Berlusconi?
Il suo continuo ricorso al “pericolo comunista” è ovviamente folle. Ma se il Cavaliere può fare questo è perché tutta l’evoluzione del Pci, da Berlinguer a Occhetto in poi, ha saltato la fase socialdemocratica. Lo stesso Pd non ha un’identità chiara, sembra rifarsi al modello americano, ma credo che prima o poi imploderà.
Insomma, Berlusconi straparla, ma in fondo in fondo qualche ragione ce l’ha…
Diciamo che se il Pci si fosse evoluto in un partito socialdemocratico Berlusconi oggi avrebbe un argomento in meno.
E la battaglia sulla “questione morale”? Non è curioso che l’eroe degli anticasta all’epoca polemizzasse contro la moralizzazione della politica?
È vero, in Berlinguer Napolitano vede trionfare l’antipolitica, da qui lo scontro. Ma attenzione, ancora oggi lui è antiberlusconiano ma anche antidipietrista. E il mio amico Travaglio ha polemizzato con lui diverse volte.
Un curioso equilibrismo…
Direi che si tratta di doppiezza togliattiana. In fondo Napolitano ha gestito la crisi come avrebbe fatto Togliatti…