Art. 18, in scena la commedia degli equivoci

20 Dic 2011 20:29 - di

Alla fine dribbla i giornalisti e diserta la conferenza stampa. Il ministro del Welfare, Elsa Fornero, non se la sente di fare fronte al fuoco di fila delle domande che, visto lo scontro in atto con i sindacati, si preannunciano molto incalzanti. Così, al termine del convegno sulla celebrazione del centenario del primo contratto giornalistico organizzato dalla Fnsi, decide di defilarsi. Già in precedenza, del resto, aveva chiesto “tregua” ai fotografi che la bersagliavano di scatti ricordando Karl Popper, il filosofo austriaco che si spese contro ogni totalitarismo, di cui è celebre la battuta: «Sono cieco, sordo e stupido quindi per favore andate via». Ma la Fornero stupida non lo è davvero. La sua è una fuga che sa molto di opportunità. La riforma del mercato del lavoro è materiale incandescente e l’articolo 18 lo è ancora di più per cui ogni dichiarazione rischia di buttare nuova benzina sul fuoco delle polemiche già in atto. Le sue posizioni, del resto, sono già note fina da domenica, quando la neo-ministra ha rilasciato un’ampia intervista al Corriere della Sera. Sul tavolo, tra le altre cose, c’è anche la proposta provocazione del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni che, dai microfoni di Agorà, l’aveva sfidata a discutere non di articolo 18, ma di «come alzare il salario ai lavoratori flessibili e di come il governo debba incentivare fiscalmente e con altri strumenti questa possibilità». Argomentazioni che la Fornero giudica fondate. «In linea di massima – afferma – è vero che bisognerebbe riuscire ad aumentare i salari perché sono bassi, non è una cosa che ci sfugge. Conosciamo questo divario nella distribuzione dei redditi che si è creato negli ultimi anni, direi negli ultimi 15-20. La mia sensibilità – aggiunge – è totale, dopodiché le cose bisogna cambiarle».

Riforma e tabù

Il clima continua a mantenersi incandescente. Il Pdl ieri ha presentato al Senato una propria proposta di riforma del mercato del lavoro, partendo da quello che il governo Berlusconi ha già fatto in materia. In questo caso si parte dall’articolo 8 della manovra estiva targata Tremonti. La Fornero, invece, sembra volersi muovere tra il detto e il non detto. Il che significa a 360 gradi perché, con riferimento all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, «non ci sono cose che sono terreni inesplorati» quantunque, precisa, «io nell’intervista al Corriere l’articolo 18 non l’ho citato». Anzi «le mie parole erano un invito al dialogo». Invito che, se c’era, non è stato raccolto dai sindacati. Lunedì, nel corso dello sciopero del pubblico impiego, Ugl, Cgil, Cisl e Uil hanno polemizzato duramente con il governo e ieri Bonanni ha rincarato la dose affermando che se si tocca l’articolo 18 «si mette a rischio la coesione sociale e una società sbrindellata come quella italiana va in pezzi». E la Cgil  ha sostenuto che «Monti sta recuperando il peggio dell’ideologia berlusconiana». Detto da Susanna Camusso e dai suoi, che avevano dipinto il Cavaliere come il diavolo in persona, fonte di tutti i guai e origine dei problemi economici degli italiani, non è davvero male, perché equivale a dire che quanto sta facendo Monti è al di sotto della media dei provvedimenti del passato esecutivo. Una vera e propria tegola per Pier Luigi Bersani che non trova nulla di meglio da dire se non che «bisogna ragionare con calma». «Ora – aggiunge – facciamoci il Natale e lasciamo stare l’articolo 18. Mi pare che c’è già da digerire qualcosa». Già, ma sull’articolo 18 il Pd che cosa intende fare? Starà con il governo o con la Cgil? La risposta non arriva, anche per Bersani è meglio la fuga. Nichi Vendola, da parte sua, non lascia dubbi e annuncia «una reazione durissima». E alla Confidustria che dice «basta tabù ci vuole serietà», risponde che che l’articolo 18 è un presidio della civiltà. «È un argomento tabù – aggiunge –  perché riguarda la carne viva dei lavoratori e i diritti delle persone».

Sindacato pigliatutto
Un ventaglio di punti di vista e un’esasperazione dei toni che fa capire che cambiare le cose», come vorrebbe la Fornero, in questo Paese è cosa facile da dire ma molto difficile da fare. Non si dimentchi che la Cgil si è opposta anche all’accordo Fiat, che certo non si spinge fino ai licenziamenti ma, come rileva Giuliano Cazzola, introduce novità importanti per quanto riguarda la contrattazione decentrata e le erogazioni salariali collegate alla produttività. Del resto sono in molti a ritenere che il sindacato, in questo Paese abbia non poche responsabilità. Per rimettere in moto il mercato del lavoro c’è bisogno di eliminare le ingessature più macroscopiche e di introdurre flessibilità, perché è evidente che dove esistono gli ipergarantiti finiranno per fare il loro ingresso anche i “per niente garantiti”. Sarebbero auspicabili garanzie medie per tutti, ma il sindacato dice no. E la cosa è in qualche modo anche comprensibile. Il sindacato, infatti, rappresenta i propri iscritti, fatti da coloro che già lavorano e dai pensionati. Parla quindi in loro rappresentanza, lasciando senza voce milioni di disoccupati e i giovani che si affacciano al mercato del lavoro. Il problema è soprattutto questo. Bisogna che le organizzazioni sindacali facciano un po’ di autocritica, la smettano di guardare all’immediato e proiettino lo sguardo anche verso il futuro, rendendosi conto che i giovani e i disoccupati di oggi sono i lavoratori di domani.

Troppi allarmismi
È evidente che l’abolizione dell’articolo 18 non è la chiave per la soluzione di tutti i problemi del lavoro. La battaglia campale – che si annuncia ogni qualvolta qualcuno ne mette in discussione l’esistenza – è dovuta al fatto che è diventato un simbolo. Altrove, però, non è così. In Europa soltanto in Italia, Portogallo, Austria e Lettonia ci sono norme tali per cui il giudice può imporre il reintegro del lavoratore licenziato. Altrove c’è soltanto l’equo indennizzo, di cui, ovviamente, non si può fare a meno. Non è un caso se Pietro Ichino, parlamentare del Pd, esperto della questione, definisce sufficienti le tutele del «contratto unico» con cui si vorrebbero sostituire le molte tipologie attualmente esistenti. Le nuove norme avrebbero validità per i nuovi assunti. Per quelli che già lavorano, invece, non cambierebbe nulla. Al lavoratore verrebbe comunque garantita la disoccupazione (80 per cento dello stipendio) e l’impegno dell’azienda per il ricollocamento.

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