Una stangata di 20 miliardi. Dov’è la Cgil?
Improvvisamente non c’è più il problema di arrivare a fine mese, “san Mario Monti” ha fatto il miracolo. I professionisti delle manifestazioni di piazza sono scomparsi, bisognerebbe andare a Chi l’ha visto per poterli rintracciare. Prima non si parlava di Ici e le tasse non crescevano ma, ciò nonostante, ogni giorno il popolo viola si scatenava alle porte di Montecitorio con tamburi, fischietti e monetine. Ora invece l’Ici sembra essere diventato un fatto concreto e non è la sola tassa sul tappeto ma, come d’incanto, nessuno protesta. È scomparsa la Camusso proprio nei giorni in cui veniva fuori l’idea di stangare le pensioni (proprio lei che tentò di paralizzare il Paese quando Berlusconi “osò” dire che ci voleva un piccolo intervento in materia). Sono scomparsi i Cobas e la Cgil, che avevano dato vita a scioperi “contro la crisi”. Sono scomparsi gli insegnanti, i bidelli e gli studenti, protagonisti di almeno tre anni di “lotta dura senza paura” contro quella riforma Gelmini che sembra piaccia parecchio a Monti. Sono scomparsi (per fortuna) i centri sociali, che avevano messo a ferro e fuoco la Capitale. Tutto questo, mentre si delinea una manovra mostruosa di venti miliardi e oltre. E mentre l’Istat scopre che a ottobre il divario prezzi-salari è salito a livelli record. Col Cavaliere a Palazzo Chigi si protestava per quello che si temeva potesse succedere, adesso non si sciopera nemmeno per quello che succede veramente. Il che dimostra la sceneggiata gigante costruita ad arte dalla sinistra.
Buste paga senza sprint
La prima stangata targata governo tecnico è attesa per il 5 dicembre ma, intanto, nell’ordinarietà di una situazione comunque difficile, salari e stipendi stanno perdendo una parte importante del loro potere d’acquisto: le retribuzioni orarie contrattuali sono infatti aumentate su base annua dell’1,7 per cento, mentre l’inflazione ha fatto segnare un valore doppio, pari al 3,4, con una differenza di 1,7 punti che rappresenta il valore massimo dal 1997. Un record negativo che nelle prossime settimane è destinato ad aggravarsi. Secondo le associazioni dei consumatori i nuclei familiari a reddito fisso sconteranno un calo della propria capacità di spesa che va dai 300 ai 400 euro: circa un mese di spesa in alimenti per una famiglia tipo. Con molti contratti scaduti e mentre in attesa di tagliare la spesa Monti si prepara ad azionare il pedale delle entrate, agendo su Ici, Imu, accise sui carburanti e Iva, patrimoniale e altro ancora. Tanto che la Confesercenti fiuta l’aria e lancia un avvertimento: il governo non insista solo sulle tasse. Nel 2014, infatti, per effetto delle sole misure ipotizzate la pressione fiscale schizzerebbe fra il 46,1 e il 47,2 per cento: più risorse allo Stato per finanziare la spesa pubblica e meno per le famiglie italiane che in questo modo saranno chiamate a tirare ulteriormente la cinghia con pesanti ricadute sul fronte dei consumi.
Effetto recessione
La gelata produttiva è dietro l’angolo. Già a settembre l’occupazione nelle grandi imprese ha segnato un calo dello 0,6 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. In attesa delle riforme vere, come quella fiscale messa in cantiere dal governo Berlusconi, rischiamo di dare vita a una situazione foriera di ricadute negative in materia di crescita, proprio mentre l’Ocse ci dice che nel 2012 l’Italia sarà in recessione e i senza lavoro aumenteranno fino a toccare l’8,3 per cento, per salire ancora all’8,6 per cento nel 2013. A quel punto raggiungeremo il pareggio di bilancio, ma ci arriveremo morti. E il perché è evidente. Le tasse di cui sui parla, unite alla manovra sulle pensioni produrranno una contrazione della capacità di spesa delle famiglie, proprio mentre ci sarebbe bisogno dell’opposto per fare da supporto all’economia produttiva in grande difficoltà. Sacrifici forti che, nei termini e le caratteristiche con cui vengono annunciati, serviranno solo a riportare in rotta conti che hanno deragliato per effetto della tempesta sul fronte dei mercati delle ultime settimane. A fine estate, per effetto delle manovre varate da Berlusconi e Tremonti la scorsa estate il pareggio di bilancio a fine 2013 era cosa fatta. Poi sono iniziate le speculazioni politiche, il disfattismo e il tiro al piccione contro il Cavaliere. La spallata, che non era riuscita con i voti di sfiducia in Parlamento, ha avuto luogo sull’altare dello spread. Ma con quali costi. I nostri titoli pubblici stanno pagando un pegno pesantissimo rispetto al Bund tedesco, senza che il taumaturgo Monti riesca a porvi rimedio, a dimostrazione che il problema non era Berlusconi. Lo spread ha fatto dimettere il Cavaliere ma ha anche sbugiardato gli strateghi del nostro centrosinistra che a noi tutti hanno fatto pagare un costo altissimo: i molti miliardi spesi sul fronte degli interessi per finanziare il debito e di cui oggi il nuovo presidente del Consiglio e la sua squadra ci chiedono conto. Il tutto, peraltro, con l’aggravante che le difficoltà proseguono, lo spread si mantiene sui 500 punti base e il numero dei miliardi necessari per pagare le cedole ai sottoscrittori di titoli pubblici (ieri sono stati piazzati 7,5 miliardi di Btp, con richiesta buona ma con rendimenti al 7,89 per cento, il valore più alto dal 1997). Il tutto mentre la banca giapponese Nomura decide di dare un taglio agli investimenti in titoli pubblici italiani e molla sul mercato 83 per cento di quelli che deteneva fino al giorno prima.
Natale di crisi
Adusbef e Federconsumatori fanno qualche conto e si spingono ad affermare che per gli italiani il Natale che è in arrivo sarà magrissimo, il peggiore degli ultimi dieci anni. La stretta di Monti sulle misure da adottare è attesa entro lunedì, dopo il via libera dell’Ecofin che si conclude oggi. Non ci saranno solo Ici e pensioni, fanno sapere gli organi di stampa, ma questo più che rassicurare preoccupa gli italiani. che con la tredicesima in arrivo si apprestano a fare fronte alle spese di fine anno: tasse e mutuo per la casa in testa. Per le spese voluttuarie resterà poco. Non più del 12 per cento fanno sapere le associazioni dei consumatori che, su questa scorta, prevedono vere e proprie cadute della spesa. «Se reggeranno giocattoli, alimentari e hi-tech, le cui vendite si manterranno stabili rispetto al 2010, lo stesso – dice il presidente del Codacons Carlo Renzi – non si può dire per altri settori, per i quali i cittadini prevedono già da ora sensibili tagli di spesa». In particolare, dal monitoraggio dell’associazione sulla propensione all’acquisto degli italiani durante le festività, «appare a rischio il comparto abbigliamento e calzature, quello dei viaggi, e il settore profumeria ed estetica, per i quali si raggiungeranno forti diminuzioni delle vendite con picchi del 20 per cento».
Arriva la stangata
Potrebbe valere dai 20 ai 25 miliardi la manovra che Monti si appresta a varare per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. I tecnici ipotizzano una correzione di questo importo (comprensiva di 4 miliardi che arriverebbero dalla delega fiscale) che si renderebbe necessaria per fare fronte a una diminuzione del Pil dello 0,5 per cento nel 2012, come ipotizzato lunedì scorso dall’Ocse. Gli 11 miliardi anticipati da Repubblica, e che secondo il quotidiano costituirebbero la richiesta della Ue all’Italia ,vanno lievitando un giorno dopo l’altro. Del resto, nello stesso rapporto presentato ieri dal commissario Olli Rehn all’Eurogruppo, si evidenziava la necessità di agire al più presto. «L’Italia – si legge – deve affrontare rapidamente le sfide formidabili che ha davanti», perché il rischio default «può aumentare rapidamente in assenza di risposte adeguate». Tassazione dei consumi, pensioni (sembrano scontati il blocco del recupero dell’inflazione nel 2012, che varrebbe tra i 5 e i 6 miliardi, e un colpo di maglio alle pensioni di anzianità che in futuro potrebbero richiedere tra i 41 e i 43 anni di contribuzione) e lavoro le proposte più gettonate. Su tutto l’incognita legata alle necessità economiche delle banche. In Europa servono oltre 100 miliardi di euro, ma anche gli istituti di credito italiani, sicuramente tra i più solidi, sono stati trascinati nel gorgo dalle decisione dell’Eba, l’Authority europea, di inserire nella capitalizzazione i Btp detenuti. Una decisione che sta creando problemi sul fronte dello spread: molti dei titoli che vengono venduti sul mercato secondario arrivano infatti dalle banche che sono in qualche modo obbligate a disfarsene.