Le mosse del Cav: premier del Pdl o urne in inverno
L’annuncio della volontà di Berlusconi di dimettersi dopo l’approvazione della Legge di stabilità arriva a ora di cena, non certo come un fulmine a ciel sereno, dopo l’esito del voto pomeridiano. Ma non scioglie i nodi di una crisi al buio, solo rimandata di qualche giorno, con Berlusconi che si presenterà al Quirinale per le consultazioni da dimissionario ma per nulla disponibile ad assecondare ipotesi di ribaltone più o meno mascherato, «quello che Casini cerca di rendere presentabile agli elettori, grazie alla faccia di Monti», spiegava Mario Landolfi, prima della svolta serale. L’ipotesi più probabile è che Berlusconi passi la mano ad Alfano o Letta e chieda al presidente della Repubblica di verificare la disponibilità dell’opposizione, o di una parte di essa, a sostenere un nuovo esecutivo in grado di completare la legislatura e portare a termine gli impegni assunti con la Ue. Il premier vuole sedersi al tavolo delle trattative forte di un sì alle misure salva-Italia, ma anche di numeri comunque importanti, visto che alla Camera la slavina non c’è stata e al Senato l’opposizione resta ampiamente minoranza. I veti, del resto, attanagliano lo stesso centrosinistra, visto che dall’Idv non c’è disponibilità ad appoggiare una soluzione tecnica gradita a Pd e Terzo Polo: anzi, i dipietristi si sono allineati alla richiesta estrema della maggioranza di andare immediatamente al voto, in caso di dimissioni del premier. Un altro veto, poi, rende difficilmente praticabile anche l’ipotesi di sostituzione di Berlusconi con Alfano o Letta: è quello del Pd, indisponibile a fornire un sostegno “‘esterno” a un esecutivo che sia ancora espressione di questa maggioranza. Ma è chiaro che dopo le dimissioni di Berlusconi arriverà un’offerta al mondo cattolico, da Casini a Rutelli, Fini compreso, per un governo deberlusconizzato che accolga così la pregiudiziale anti-Cav che fin dall’inizio il Terzo Polo aveva opposto a qualsiasi offerta di allargamento della maggioranza. La Lega, invece, lavora a un’ipotesi ancora più impraticabile: chiedere ai finiani di rientrare in maggioranza, sulla base del programma sottoscritto nel 2008, ovviamente con un governo senza il Cavaliere e senza la rappresentanza dell’Udc.
Un “no” sicuro arriverà invece dalla maggioranza a un sostegno, anche solo esterno, da fornire a un esecutivo formato da “tecnici” in sintonia politica con le opposizioni. La conclusione è che se la minoranza si mostra spaccata anche sulla strada da suggerire al Colle in caso di crisi, il centrodestra sembra almeno avere le idee più chiare, che si riassumono in un concetto: dopo le dimissioni del premier, o si prosegue con un premier indicato dal centrodestra o si va verso urne innevate”, ovvero, un voto da indire al massimo entro gennaio.
Nel caso in cui dalle opposizioni non arrivasse la “tregua”, dopo l’offerta delle dimissioni, Berlusconi sarebbe intenzionato a calendarizzare il voto di fiducia sul maxi-emendamento alla Legge di stabilità il prima possibile, per incassare un sì quasi scontato prima che l’opposizione faccia in tempo a presentare e far calendarizzare una mozione di sfiducia alla Camera. L’ostacolo tecnico sarebbe la necessità di approvare prima l’assestamento di bilancio, voto propedeutico a qualsiasi passaggio parlamentare della Legge di stabilità. In queste ore si lavora così alla possibilità di “bruciare” sul tempo la mozione di sfiducia dell’opposizione facendo votare la fiducia, al Senato, sulla lettera d’intenti alla Ue. In questo modo il premier blinderebbe una delle due Camere, giocandosi poi la sua partita al Quirinale, da dimissiomario ma con in dote il controllo di Palazzo Madama, fattore determinante per scongiurare qualsiasi rischio che il capo dello Stato possa provare a lanciare un governo tecnico alla ricerca di una maggioranza parlamentare.