La politica in soffitta: dall’anticasta nasce il governo delle caste

16 Nov 2011 20:12 - di

Le agenzie di stampa cominciavano a mettere in rete i nomi dei ministri, per ognuno un lancio flash, «Piero Gnudi al Turismo», con tanto di stellette a sottolinearne l’importanza, «Corrado Passera» allo Sviluppo», e ancora stellette. La lista non era ancora finita e già si scatenavano applausi e fischi, cori ultrà dei quotidiani “amici” e battute ironiche. Un dato però è venuto subito a galla: si è passati da una stagione di lotta alla casta alla stagione del “governo delle caste”. Un governo dove, appunto, tutte le caste (per molti sarebbe meglio dire lobby, ma forse è politicamente scorretto) sono rappresentate: i “santoni” universitari (quelli che di solito gli studenti chiamano baroni), i banchieri (che fino a ventiquattr’ore fa la gente comune aveva sulle scatole mentre adesso, come d’incanto, travolta dalle parole dei nuovi cicisbei politici e giornalistici, pensa che siano i salvatori della patria), i diplomatici (che le voci malevoli dicono essere una corporazione chiusa, dove entri solo se appartieni a determinate famiglie o se hai frequentato un certo tipo di scuola). Un complesso di cose, quindi, che – chissà perché – fa tornare in mente quei poteri forti di cui tanto si parla e che fino ad oggi non si erano mai materializzati. La casalinga di Voghera ne aveva sentito l’eco, credeva fossero fantasmi, ne aveva un po’ paura e poi, toh, eccoli spuntare con tanto di nome, occhi e mani.

Il primato della politica è al tappeto
A perdere è il primato della politica, la sua visione d’insieme. Al di là delle capacità personali, che non sono in discussione, il discorso è più ampio: mettere un militare alla Difesa significa fare di tutta l’erba un fascio: chi è controllato e chi controlla fanno parte dello stesso mondo. Nella fattispecie, affidare il dicastero a un ammiraglio significa riconoscere i meriti della Marina ma, nello stesso tempo, lasciare in ombra le aspettative altrettanto valide di Esercito e Aeronautica. Giampaolo Di Paola è già stato capo di stato maggiore della Difesa, ma in quella veste era un tecnico che occupava il posto di un tecnico. Sopra, a coordinare, c’era comunque il ministro, mentre adesso il ministro è lui stesso. Stesso discorso vale per gli altri. Il quadro d’insieme è infatti poco diverso. Economisti, alti burocrati, un militare, un diplomatico, un prefetto, un avvocato: tutti tecnici uniti ad altri tecnici, sicuramente di alto profilo, prestati al bocconiano Mario Monti che insieme a loro ha varato un governo all’insegna di quello che lui stesso ha definito «rigore secondo equità». Un obiettivo che è auspicabile venga conseguito anche se resta comunque da dimostrare che il miglior modo di risolvere i problemi è quello di circondarsi di rappresentanti delle più forti e nutrite caste del Paese. Così si dà voce alle caste, si tranquillizzano le lobby ma francamente non ci sembra che si imbocchi a la strada giusta. Sia pure per un esecutivo di “salute pubblica”, economicamente parlando. Volendo essere cattivi si può dire che tutta questa storia, iniziata con speculatori e mercati all’attacco del debito italiano, si è conclusa insediando alla presidenza del Consiglio e nei vari ministeri persone considerate amiche e pertanto in grado di far ragionare coloro che nelle scorse settimane si sono rifiutate di farlo. Le persone giuste al posto giusto, in maniera che ognuno possa essere sicuro sulla competenza e sulla credibilità.

Attenti alle bufale
Ma siamo sicuri che andrà proprio così? Non è detto. All’Ambiente, ad esempio, è stato nominato Corrado Clini, che oggi si definisce «un servitore dello Stato che aspetta ordini», ma fino a ieri è stato il direttore generale dello stesso ministero particolarmente impegnato, secondo quanto ricordiamo, in programmi anti-inquinamento per la Cina, attraverso Venice International University, presieduta da Umberto Vattani. Tutto qui? No, ha promosso “cattedrali” di ricerca che non sembra abbiano dato esiti clamorosi. Da domani andrà avanti per questa strada o cambierà registro? Monti presiede un governo che vive dei voti, ma non dell’intermediazione dei partiti. Così, però, si relegano in un angolo pensionati, lavoratori dipendenti, artigiani, piccoli imprenditori e categorie affini che finiscono per non avere voce. Si dirà che per questi figli di un “dio minore” continuano a lavorare sindacati, associazioni di categoria, dei consumatori e simili. È vero, ma gli altri, le caste, sono state premiate con il dialogo diretto, nella speranza che i loro rappresentanti nel governo possano garantire il supporto dell’intera galassia delle lobby di cui fanno parte. I banchieri, i professori universitari, gli economisti, l’insieme dei poteri forti. «Singolarmente – ha commentato Ignazio La Russa – molte, vere eccellenze, ma in una squadra servono anche i mediani». Una riflessione che contribuisce a far capire come non basta mobilitare le élite per avviare a soluzione i problemi. Va bene che dobbiamo battere le mani al nuovo, ma deve essere chiaro che se i politici sono la Casta per eccellenza, costoro tutto sono tranne che una disinteressata aristocrazia. Convinciamoci che i favori, i privilegi e le laute indennità rimangono tali anche quando non riguardano parlamentari o galoppini di partito.

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