il Pd chiede aiuto ai “Bersani esteri”
Riprendersi piazza San Giovanni dopo lo scempio targato indignados, ricompattare il partito, mandare un segnale muscolare a Berlusconi e tentare di proporsi come forza credibile a livello internazionale: sono molti e ambiziosi gli obiettivi che il Partito democratico ha in mente scendendo in piazza oggi a Roma. Sperando che non sia una “Festa mesta”, come cantano i cuneesi Marlene Kuntz chiamati ad allietare la giornata insieme a Roberto Vecchioni prima della parte propriamente politica della kermesse.
Bersani e le “guest star”
Intorno alle 14.30, infatti, il segretario Pier Luigi Bersani arringherà – si fa per dire… – le folle assieme ai tre superospiti di giornata: il leader della Spd tedesca Sigmar Gabriel, il candidato premier francese François Hollande e il vicepresidente della Dc cilena Jorge Burgos. La presenza di quest’ultimo è significativa: per far contento Fioroni e tamponare il pedigree socialista della coppia francotedesca con un cattolico, infatti, il Pd è dovuta arrivare fino in Cile. I filocileni vecchia scuola, quelli tutti filo-Allende e Inti-Illimani, tuttavia, rimarranno delusi. Pur collocandosi nel centrosinistra, del resto, il Pdc non sprecò troppe lacrime sulla tomba del presidente morto in seguito al golpe di Pinochet, sul momento accolto anzi con sollievo per aver sventato la «dittatura comunista» di Allende. Meno problematica, invece, l’estrazione di Gabriel, anche se la sua intransigenza anti-liberalizzazioni potrebbe creare qualche imbarazzo al liberalizzatore per eccellenza, quel Bersani che da qualche tempo non disdegna di andare a braccetto con la Marcegaglia.
Il mister Bean francese
Ma il piatto forte, oggi, viene dalla cucina francese. Privo del physique du rôle di un De Gaulle, di un Mitterand, di uno Chirac, ma anche dello sguardo un po’ gaglioffo ma non banale di Sarkozy, Hollande è un po’ una via di mezzo tra Gianni Fantoni e Michele Mirabella. Ennesimo prodotto dell’École Nationale d’Administration, la fucina transalpina dei pubblici amministratori, è entrato in Parlamento nel 1988. Insomma, non esattamente un volto nuovo. Cresciuto all’ombra di Mitterand, poi a quella di Jospin, alla fine ha dovuto fare un passo indietro anche rispetto a Ségolène Royal, sua ex compagna e per lo spazio di un mattino presunto volto vincente della sinistra francese. Non vincerà mai, ovviamente. Eppure, dopo una vita da eterno secondo, il 16 ottobre 2011 Hollande ha vinto le primarie del Partito Socialista, candidandosi a sfidare Sarkozy nelle presidenziali del 2012. I sondaggi – in Francia, come in Italia, piuttosto “ballerini” e inaffidabili – lo danno in testa. Esattamente come accadeva per la Royal. Per mantenere il vantaggio fino ad aprile 2012, tuttavia, servirebbe un carattere che in Hollande non scorge nessuno. Ma proprio nessuno.
François, l’eterno secondo
Persino il progressista Le Monde, in occasione della sua vittoria alle primarie, malignava di un François «chiracchiano nell’espressione, mitterrandiano nella postura» e finalmente «hollandiano nel discorso». Anche nelle parole della stampa amica la silhouette dell’eterno secondo appare nitida. Ma persino nel Partito socialista stesso, Hollande è ben lungi dall’avere un consenso unanime. «Sinistra molle», è la definizione sibilata da Martine Aubry parlando dell’anti-Sarkozy designato. Caustico Laurent Fabius: «François Hollande presidente? State sognando». E persino Ségolène Royal, che ha titoli per giudicarne il carattere, ha criticato la sua indecisione. Se questi sono gli amici, figuriamoci i nemici. Il ministro dell’Interno, Claude Guéant, lo ha praticamente demolito: «Si fregia – ha ironizzato – di essere stato collaboratore di François Mitterrand e di Lionel Jospin. Ma nessuno di loro l’ha mai nominato ministro! Non basta avere la stessa mimica di François Mitterrand per essere François Mitterrand. Non basta essere eletti nel dipartimento della Corrèze per avere la statura di Jacques Chirac». Anche Bernard Accoyer, presidente dell’Assemblée nationale, non sembra avere particolare stima per l’avversario politico, parlando di «sinistra arcaica», di un segretario di partito che si «sottomette alle esigenze dell’ala più radicale del suo movimento». Insomma: al candidato socialista gli attributi non li riconosce nessuno. Tanto che, da noi, persino Il Fatto Quotidiano ha finito per accodarsi al coro dei critici. «Non rappresenta di certo il nuovo che avanza», ha graffiato Roberto Lapia, che ha fatto il punto sulle principali difficoltà già incontrate da Hollande: «Dopo un’inattesa doccia di pomodori marci in un mercato del diciottesimo arrondissement parigino, fortino storico di Martine Aubry […] ecco i primi mugugni di Jean-Luc Mélenchon, leader del Parti de Gauche – e questa non è una sorpresa, visto il temperamento dell’ex senatore socialista, – e soprattutto la grana ecologista. I Verdi spingono infatti affinché nel programma della sinistra venga inserita la questione nucleare, – si richiede l’abbandono totale della fusione dell’atomo, – altrimenti gli ecologisti non firmeranno alcun accordo con il Ps». Molle, privo di appeal, inviso ai suoi, sotto schiaffo di estremisti ed ecologisti: ma uno così il Pd doveva chiamarlo dalla Francia?