Borsa, giornata da incubo: la cappa nera non era il Cav.
Un terremoto, uno tsunami, un baratro, secondo le parole di Emma Marcegaglia. L’effetto liberazione non c’è stato. Per mesi le opposizione hanno sostenuto come un sol uomo che il problema dei mercati e della depressione italiana aveva un nome e cognome: Silvio Berlusconi, unico colpevole. Una volta disarcionato il Cavaliere del male, l’Italia si sarebbe svegliata credibile e pronta alla riscossa di fronte ai partner europei e alle speculazione della grande finanza internazionale. E invece, all’indomani dell’annuncio delle dimissioni di Berlusconi una volta approvata la legge di stabilità, si registra un tracollo record delle Borse (l’indice cede il 3,78 perc cento) con lo spread tra i Btp e i bund tedeschi che schizza a quota 568, superando la quota di rischio (chiuderà a 525) e i titoli del tesoro che oltrapassano il 7,4% di rendimento, soglia tecnica e psicologica dietro la quale si agita, come si è visto per Atene, lo spettro del default.
Lo spettro del default
Il rischio del fallimento è dietro l’angolo e i festeggiamenti del Pd durano una manciata di secondi. La fine dell’astro berlusconiano, insomma, non è il toccasana auspicato dalle opposizioni che, ancora smarrite, confidano nel colpo di teatro del Colle. Immediata si è alzata la voce del presidente Giorgio Napolitano che parla di ore «difficilissime e delicate». Per affrontare la crisi servono «nuovi comportamenti nelle istituzioni e da parte delle forze politiche, occorre che cadano troppe chiusure e vecchi tabù, che si crei un clima di confronto più aperto e ancorato ai problemi reali della società». Gli fa eco una preoccupatissima Marcegaglia, «così non possiamo andare avanti, il Paese è nel baratro, per invertire la rotta bisogna fare le riforme che gli industriali chiedono da tempo». Fuori dai confini a mettere il carico da novanta ci pensa il commissario europeo agli Affari economici, Olli Rehn, che chiede all’Italia di approvare al più presto le misure promesse, «con questo o un altro governo».
Italia “sorvegliata speciale”
In queste ore – dice – l’Italia sta vivendo un momento drammatico, nonostante alcune decisioni prese dal governo e dal presidente del Consiglio. Dietro quel “nonostante” c’è tutto il destino di sorvegliata speciale dell’Italia, «bersaglio mobile» degli speculatori: viene il sospetto che ai mercati non basti la testa del Cavaliere ma vogliano anche decidere il nome e il cognome del prossimo premier, un tecnocrate doc con buona pace delle elezioni. Piccolo giallo anche su una nuova lettera dell’Ue datata 4 novembre nella quale si chiedono nuovi impegni all’Italia (compresa un’eventuale nuova manovra). Lettera o appunti che siano, Tremonti li riceve il 4 e li trasmette soltanto l’8 novembre irritando Renato Brunetta che ieri ha inviato una lettera a Berlusconi per rappresentare con «molto rammarico» la situazione estremamente grave nella quale «sono stato posto dal Minsitero dell’Economia». Piccoli equivoci, forse, ma che confermano la scarsa partecipazione di Tremonti al gioco di squadra del governo.
L’opposizione come Pinocchio
La giornata nera di Piazza Affari sbugiarda la tesi delle opposizioni, anche a detta degli analisti il punto non è la veridicità delle dimissioni del premier, come sostengono adesso le opposizioni, ma l’incertezza del dopo. «L’andamento dei mercati di oggi contraddice le tesi espresse finora da chi riteneva che la soluzione della crisi che ha colpito anche l’Italia potesse arrivare dalle dimissioni del premier», sottolinea il ministro Paolo Romani. Identico il pensiero di Altero Matteoli di fronte al crollo di Piazza Affari e di Fabrizio Cicchitto per il quale «l’andamento dei mercati, tutt’altro che positivo, in presenza delle dimissioni a tempo del governo Berlusconi, dimostra che la vicenda economico-finanziaria presenta una straordinaria gravità per molti aspetti indipendente dal quadro politico». Per Ignazio La Russa, sorpreso dal silenzio di quanti giuravano che sarebbe bastato il solo passo indietro del premier per invertire la speculazione nei confronti dell’Italia, è vero il contrario, «l’assenza del governo, seppur temporanea, sta portando danni seri e gravi».
L’opposizione, se si esclude la faccia felice di circostanza, è piuttosto smarrita. Con chi prendersela adesso? Come uscire dal cul de sac? Fino a ventiquattr’ore ore fa la panacea a tutti i mali era rappresentata dal pensionamento del premier, («stacchi la spina», «si faccia da parte», «dimostra un po’ di responsabilità e rassegni le dimissioni» è stato il refrain di Pier Luigi Bersani da metà agosto) oggi lo si accusa di temporeggiare, di ambiguità nei modi e nei tempi (concordati per altro con il presidente Napolitano), di non credibilità. I pasdaran antiberlusconiani sostengono che i mercati sentono odore di trappolone (secondo la definizione di un aedo spompato come Dario Fo) e, ancora una volta, è Tonino Di Pietro a offrirsi come portavoce: «I mercati e l’Unione europea dubitano ormai fortemente delle promesse di Berlusconi. Il presidente del Consiglio se ne deve andare subito prima che sia troppo tardi. Noi non ci fidiamo del premier a tempo perso, come non si fida l’Unione europea».
Vogliono lo scalpo
Ancora non basta, non gli credono, vogliono il suo scalpo («ma avranno la guerra», ironizzava ieri sul Foglio Giuliano Ferrara) tanto che il Colle è “costretto” a diramare un nuovo comunicato per confermare che le dimissioni del premier sono vere. «Sono del tutto infondati i timori di un prolungato periodo di inattività governativa. Entro breve tempo o si formerà un nuovo governo che possa avere la fiducia del Parlamento o si scioglieranno le Camere». Parole che dovrebbero rassicurare i mercati la cui lettura della crisi italiana è a dir poco strabica visto che i titoli Mediaset subiscono un vistoso crollo, a dimostrazione che l’uscita di scena di Berlusconi è considerata autentica e ha avuto ricadute pesanti sui titoli di famiglia. La caduta verticale di Mediaset al listino (meno 12% in fine seduta) segnala la convinzione che l’esperienza berlusconiana è comunque considerata alla fine. I titoli del gruppo televisivo di proprietà del Cavaliere hanno perso 350 milioni in un giorno. Una fiducia a intermittenza quella delle Borse nei confronti delle parole del premier.