Quei tanti bambini che giocavano con i kalashnikov
Ogni giorno a Radio Wa si susseguono messaggi indirizzati ai bambini che sono stati rapiti dai ribelli ugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) e costretti a diventare bambini soldato. Da tempo la stazione radio diocesana cattolica manda in onda il programma “Karibu” (Benvenuto) con la speranza di infondere ai bambini sopravvissuti il coraggio per tornare dalle proprie famiglie, dopo essere stati costretti dai ribelli a mutilare o a uccidere persone o anche parenti, o a incendiare le proprie case proprio per impedirne il ritorno. Per questo, i bambini pensano spesso che se tornassero nelle famiglie d’origine non verrebbero accettati.
Nel programma infantile vengono trasmesse anche le testimonianze di ex bambini soldato che sono riusciti a fuggire e ora parlano della loro nuova vita, esortando gli altri a seguire il loro esempio. Karibu viene ascoltato anche nella foresta e sono già più di 1.500 i bambini soldato fuggiti dalla prigionia perché Radio Wa li ha aiutati a credere nella possibilità di costruirsi una vita diversa e migliore.
L’Uganda del Nord è stata per più di vent’anni teatro di un sanguinoso conflitto tra i ribelli dell’Lra, guidati dal “cristiano” Joseph Kony, e le milizie governative. Secondo l’Unicef sarebbero oltre 15mila i bambini e le bambine sequestrati dai ribelli nella foresta per diventare soldati e schiave del sesso, senza contare che l’Lra detiene il triste primato di aver avuto nelle proprie file il combattente armato più giovane al mondo: un bambino di 5 anni.
Dal 2008 la situazione si è stabilizzata, ma il tentativo di un accordo di pace ufficiale è fallito quando Kony non si è presentato alla cerimonia ufficiale per la firma. Singolare constatare che una delle richieste che egli aveva posto come condizione per i negoziati di pace era la chiusura del programma per bambini di Radio Wa; questo dimostra quanto i ribelli temano questa trasmissione.
Purtroppo non è solo il Nord Uganda a essere al centro del dibattito sui bambini soldato. A livello mondiale, sono circa una quindicina i Paesi dove gli eserciti regolari e le guerriglie arruolano e fanno combattere i bambini. Lo afferma l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, diffuso nel giugno scorso, sul ruolo dei bambini nei conflitti.
Nel rapporto, oltre alle famigerate gesta dei ribelli ugandesi, sono chiamati in causa anche Ciad, Sud Sudan, Repubblica centrafricana, Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Somalia. Il “reclutamento” avviene per lo più nelle scuole e i bambini, dopo un rapido addestramento alle armi, sono stati utilizzati in combattimento.
Nella Rdc, l’anno scorso, quasi 1.700 bambini soldato sono riusciti a scappare o sono stati liberati. Li avevano arruolati i guerriglieri delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FdlR), dei gruppi Mai Mai, dell’Lra e lo stesso esercito congolese. Nella Rdc si è comunque registrata una forte diminuzione dei casi di arruolamento, presumibilmente dovuta al processo di smobilitazione di alcune forze guerrigliere, avvenuto nel 2009.
Nel nord della Repubblica centrafricana, l’Unione delle forze democratiche riunite (Ufdr) e la Convenzione dei patrioti per la giustizia e la pace (Cpjp) hanno continuato a impiegare i minori. Inoltre, i ribelli dell’Esercito popolare per la restaurazione delle repubblica e della democrazia (Aprd), nonostante abbiano smobilitato centinaia di fanciulli, continuano a utilizzarli. Nel Paese si registrano anche rapimenti effettuati dal Lra, specialmente di ragazzine, utilizzate come schiave sessuali.
In Somalia il reclutamento forzato dei fanciulli è sistematico, soprattutto da parte dei guerriglieri di Al Shabaab che avrebbero rapito duemila piccoli per inviarli sui campi di battaglia del sud del Paese, dopo aver seguito un periodo di addestramento. Lo stesso avviene per le femmine. Anche se il reclutamento delle bambine è considerato inaccettabile sul piano sociale, le ragazzine sarebbero utilizzate come cuoche, ma anche per trasportare detonatori e raccogliere informazioni.
Nonostante in via ufficiale il governo di transizione somalo vieti il reclutamento dei piccoli, la situazione sul campo è ben diversa: anche nel 2010 il governo si trova nella lista di coloro che vi fanno ricorso. Le scuole sono il luogo privilegiato dalle milizie per il reclutamento e molte scuole sarebbero state chiuse perché gli alunni dovevano frequentare l’addestramento militare presso le milizie di Al Shabaab. Fra gli sviluppi positivi, l’Onu segnala l’impegno assunto dal governo di transizione somalo di realizzare un piano d’azione per mandare a casa i piccoli coinvolti nella guerra.
Una recente inchiesta del quotidiano New York Times rileva come negli ultimi tempi il problema si sia particolarmente acuito in Africa, dove è cambiata la natura dei conflitti. I nuovi movimenti ribelli sono motivati e finanziati tramite il crimine, il supporto popolare diventa irrilevante, anzi la popolazione locale è vista come preda. Il risultato è che pochi adulti desiderano avere qualcosa a che fare con costoro e insegnare a combattere e uccidere ai bambini rapiti diventa la soluzione migliore per sostenere il banditismo organizzato.
Ovviamente a poco servono le regole internazionali (che spesso non rispettano neppure i governi), visto che chi utilizza i bambini soldato non è un’istituzione, ma un gruppo alla macchia. Purtroppo, i programmi di recupero, anche se apprezzabili, nella quasi totalità dei casi risultano tardivi. A tutti questi fanciulli e adolescenti non sarà mai restituita l’infanzia e non potranno mai dimenticare quello che hanno vissuto. La maggior parte di essi non ha più un’identità ufficiale e tutti hanno imparato a uccidere e sparare invece che leggere e scrivere.