In-giustizia: Alfano non è il solo a pensarlo…

5 Ott 2011 20:25 - di

Chi paga per gli errori commessi? Le parole  dell’ex guardasigilli Angelino Alfano in seguito alla sentenza di Perugia, che ha ribaltato il primo grado di giudizio, hanno scatenato un putiferio di polemiche. Molti, a cominciare dal vicepresidente del Csm Vietti si sono risentiti. In realtà, il leader del Pdl ha messo il dito in una delle piaghe del sistema giudiziario italiano e questo non è argomento che possa essere confuso con lo spirito di parte né diventare oggetto di diatribe sterili. Anzi, molti professionisti seri, che sentono il peso di tante distorsioni del sistema giudiziario, confermano, infatti, l’esigenza di enucleare i veri problemi senza edulcorare la realtà. Tra molti giudici e magistrati  serpeggia lo scontento, il senso di frustrazione. Uno di questi è certamente Giancarlo De Cataldo, giudice di Corte d’Assise a Roma, autore ben noto con Romanzo criminale e autore di due libri appena usciti che non potevano cadere in un momento migliore, avendo per tema proprio la giustizia italiana: uno è scritto in forma narrativa, si tratta di Giudici (Einaudi), composto di tre racconti firmati oltreché da De Cataldo, anche  da Lucarelli e Andrea Camilleri; il secondo, che è quello che più coglie nel segno delle riflessioni di questi giorni è In-giustizia ( Rizzoli), titolo che è tutto un programma.
Non è un mistero per nessuno che il 53 per cento delle sentenze  sono corrette o ribaltate nei successivi gradi di giudizio; che il 43 per cento dei detenuti è in attesa dei giudizio, come ha denunciato Pannella; e che il 50 per cento di essi che, secondo statistiche, saranno proclamati innocenti: questo il curriculum deprimente che pesa come un macigno sulle storture della giustizia e sulla vita delle persone. E fare finta di niente e polemizzare contro chi con cognizione di causa stigmatizza il dramma che nessuno paghi per gli errori commessi, non ci aiuterà a migliorare lo stato di salute della giustizia.  Se in altri paesi chi ha indagato in maniera inappropriata o condannato innocenti non vivrebbe momenti di grande tranquillità, da noi invece sì, perché i giudici non sono penalmente resposabili degli errori commessi e delle vite stravolte. Ecco, proprio il fattore umano è infatti centrale in In Giustizia, saggio in cui De Cataldo non intende certo proporre bacchette magiche. Si direbbe un giudice rassegnato? Il titolo è del resto molto eloquente. Dobbiamo convivere con una giustizia “ingiusta”? Non proprio. «Questo è il libro che ho cullato per trent’anni», ha avuto modo di raccontare l’autore, che non è stato possibile raggungere ieri telefonicamente proprio perché impegnato in Tribunale fino a sera. «È il libro della mia vita da magistrato e di un po’ di storia d’Italia vissuta da dentro i tribunali, raccontata attraverso le vicende esemplari di chi ha sbagliato, di chi ha lottato, di chi si è difeso e di chi è stato condannato». Un’esigenza di raccontare questo mondo che viene da molto lontano, dunque.
La sua “bussola” è che «la giustizia è un’aspirazione, una conquista quotidiana. Non si può mai darla per scontata. Bisogna lottare di continuo per realizzarla», ha premesso durante le presentazioni del volume che ha il sapore del work in progress, realizzato sulle esperienze di una vita in toga. Non nasconde, naturalmente, i difetti di un sistema e in particolar modo viene messo in luce il ruolo dei magistrati nei farraginosi e complessi ingranaggi della macchina della giustizia nel nostro Paese. Lo fa descrivendo la cronistoria giudiziaria di alcuni casi emblematici degli ultimi anni: dal caso Sofri a quello di Marta Russo, per finire ai casi complessi della banda della Magliana. In questo modo il magistrato è in grado di mostrarci i meccanismi perversi del nostro sistema giudiziario. E proprio attraverso la messa a nudo della realtà è possibile eventualmente capire a che punto siamo arrivati e verso dove dobbiamo dirigerci.

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