Il ritorno agli Dei di James Hillman
Avesse parlato solo di “spiritualità”, “anima” e “simboli”, James Hillman – psicologo e filosofo scomparso giovedì nella sua casa di Thompson, nel Connecticut (Usa), all’età di 85 anni – sarebbe stato, probabilmente, uno fra tanti. Un intellettuale vagamente spiritualista, forse un po’ fricchettone, perso nelle nubi rarefatte di grandi parole sganciate dalla realtà. Se Hillman ci manca, tuttavia, è proprio perché ha saputo essere molto più di questo, decifrando il “codice dell’anima” alla luce degli imperativi concreti, reali, prosaici della realtà. Riprendendo ciò che Konrad Lorenz e Irenäus Eibl-Eibesfeldt avevano già affermato dal punto di vista dell’etologia e della biologia, Nietzsche da quello della filosofia, Schmitt da quello dalla politologia, Hillman ci ha parlato della naturalità della guerra e dei modi per contenerla. Ciò che una psicologia ingenua e ottocentesca tende a relegare moralisticamente nel cattiverio della storia e dell’antropologia, Hillman lo ha affrontato di petto come uno degli aspetti costitutivi dell’esperienza umana. Non è poco e non è scontato. Ora che è finita l’ennesima avventura bellica portata avanti da un Occidente che bombarda senza neache scrivere più dichiarazioni di guerra, forse rileggere la sua lezione ci avrebbe fatto comodo. Così come, in tempi di crisi, ci avrebbe aiutato rileggere le sue pagine sullo strapotere dell’economia. Già diversi anni fa, Hillman ci parlò degli Dei e del loro essere necessari alla cura dell’anima: anche se il materialismo storico non era più Legge da tempo, in Occidente, tesi come queste erano ancora sorprendenti. Una destra culturale seria vi avrebbe potuto trovare non pochi strumenti concettuali per decifrare la realtà. E chissà, magari rileggendo certe sue pagine sulle nevrosi di un mondo che ha voltato le spalle al divino avremmo potuto comprendere anche la ressa infernale di Trony. O forse lì anche Hillman sarebbe rimasto a bocca aperta, senza risposte e senza parole.