Berlusconi, con Giulio un caffè della pace
Le Cassandre di turno sono rimaste a bocca asciutta. Depresso? Al capolinea? In rotta di collisione con il superministro dell’Economia? Non si direbbe. Ai cronisti in Transatlantico il Cavaliere appare tonico e scherzoso (anche troppo vista la battuta sulla gnocca che ha scatenato gli istinti primordiali del teatrino della politica).
Di elezioni anticipate e di governicchi provvisori non se ne parla. «Arriva un altro, ma poi cosa fa? Ma va’…». Il premier liquida così ogni ipotesi di cambio di cavallo in corsa, «mi fanno ridere quando chiedono un passo indietro, perché un altro governo cosa farebbe?», dice subito dopo un coffee break Giulio Tremonti. Che incontrerà ufficiamente di lì a qualche ora per il vertice sul decreto Sviluppo che dovrebbe essere pronto entro il 20 ottobre.
Eravamo due amici al bar
Quattro chiacchiere al bar (sotto lo sguardo non previsto di Pierluigi Bersani) a smentire le ricostruzioni giornalistiche sulla guerra fredda tra i due e a stemperare l’eco delle polemiche sulla richiesta di dimissioni del titolare di via XX Settembre da parte di esponenti pidiellini. Liti? Solo favole. «Se c’è un periodo in cui stiamo lavorando in assoluta concordia è questo. Poi non posso certo pretendere che Giulio abbia le stesse mie idee». «Abbiamo diverse idee sui soldi…», scherza il ministro concedendosi ai microfoni. Reduce da un Consiglio dei ministri lampo, il premier ammette che si tratta di una situazione non facile, «le manovre con i fichi secchi non si possono fare. Non c’è governo al mondo che stia riuscendo a rilanciare la crescita e, in particolare, l’Italia soffre degli handicap del passato: il debito, il gap infrastrutturale, la burocrazia».
I magistrati, schegge impazzite
I cronisti ne approfittano per un giro di domande a tutto tondo, sulla giustizia hanno da scrivere («ci sono, come si vede in questi giorni, schegge impazzite che puntano all’eversione. Uno scandalo? è solo un’espressione gentile di ciò che sta accadendo nella magistratura»), sul tema Fiat quasi niente. «Non voglio dare giudizi sulla decisione di Sergio Marchionne, di far uscire il Lingotto dalla Confindustria. La testa ce l’avete anche voi…». Più esplicito sul nuovo governatore di Bankitalia, nomina che – ribadisce – spetta alla Presidenza del Consiglio. La scelta sul successore di Mario Draghi verrà assunta entro il 1 novembre, una presa di posizione netta, che lascia intendere una crescita delle quotazioni di Saccomanni a scapito di Grilli, sponsorizzato da Tremonti e dalla Lega.
Restyling del partito?
In una pausa dei lavori si ferma con i suoi, scherza e ragiona di prospettive. Forse ci scappa anche qualche barzelletta che l’algida e seria opposizione non riesce a ingoiare, fino a chiedere l’intervento del presidente della Camera contro il premier. «Andremo avanti fino al 2013, perché il nostro obiettivo è completare le riforme e il programma», assicura in una giornata densa di incontri, telefonate e vertici. Prima il Consiglio dei ministri, poi il vertice a Montecitorio con Tremonti e il ragioniere generale dello Stato, infine il tavolo del Pdl a Palazzo Grazioli con la Lega assente (che torna a inneggiare alla Padania e tiene il muso su Bankitalia). Nessuna tentazione di mollare Palazzo Chigi, niente umore nero come ha riferito dalle colonne del Foglio Giuliano Ferrara. Come la buona prassi suggerisce il Cavaliere starebbe lavorando a un adeguato ricambio. Archiviati i boatos e gli spifferi sull’ipotesi di un partito di supporto (sempre adombrata dall’Elefantino), l’idea di un cambio di nome che non sia direttamente riconducibile a Berlusconi è una prospettiva presa seriamente in considerazione. La definizione di Popolo delle libertà, avrebbe detto il premier, non è «nel cuore degli elettori», non avrebbe più l’appeal di una volta. Dopo aver commissionato sondaggi e test sulle tenuta del partito guidato dal giovane Angelino Alfano in vista del progetto della “casa dei moderati", il Cavaliere è tentato dall’idea di un restyling. «Oggi l’impegno è quello di rilanciare, rinnovandolo, il Pdl senza ipotizzare doppioni tanto fantasiosi quanto improbabili», avverte Fabrizio Cicchitto.
Quella voce dal sen fuggita
C’è chi giura che è già tutto pronto, bozzetti e marchio depositato, chi è convinto che il nome sarà semplicemente “Italia”, chi spiffera uno scontato e deprimente “Forza Silvio”. «Alcuni mi dicono di chiamarlo Partito popolare, ma quello c’è già in Italia, siamo noi…», ha detto, poi quella voce dal sen fuggita e riportata da alcuni parlamentari scatena l’inferno. «Mi dicono che il nome che avrebbe maggiore successo sarebbe Forza Gnocca!». Sarà vero? Il premier ha un gusto irresistibile per la battuta e non è nuovo a gaffe, ma stavolta la sinistra (e persino qualche esponente del Pdl caduto nella trappola) cavalca la tigre a più non posso per spostare i riflettori dei media sul tasso di volgarità del nemico. Attacchi ad alzo zero, costernazione, disappunto, fiumi di agenzie sull’esegesi di una battuta, siti stranieri sulla corretta traduzione. Si va dall’ira della Bindi («Quello è l’unico partito che Berlusconi ha praticato!») al “vecchio porco” della Concia, dal pressing di Grillini sul Vaticano perché prenda posizione allo sdegno della Calipari (“Forza gnocca” non fa ridere, ma certo tra i Lavitola, i Mora e all’Olgettina i voti si rimediano»).
Sviluppo e dintorni
Al centro del vertice tra il Cavaliere e il Superminstro dell’Economia, presenti anche Gianni Letta e Roberto Calderoli, tempi e modi del decreto Sviluppo da portare in Consiglio dei ministri entro il 20 ottobre. I diretti interessati lasciano Montecitorio con le bocche cucite, ci pensano Maurizio Lupi e Ignazio La Russa a offrire materiale per i taccuini. «È stato un lavoro lungo e prolifico», dice il vicepresidente della Camera, «abbiamo parlato del decreto sviluppo e abbiamo discusso soprattutto dei contenuti. Il testo è in uno stato avanzato», assicura, «e abbiamo rafforzato il ruolo del ministro Paolo Romani come coordinatore del decreto tra i ministri, i gruppi parlamentari e gli alleati». Un commissariamento del superministro? O una preziosa cabina di regia interministeriale?«Sul decreto sviluppo ci sta lavorando personalmente il presidente del Consiglio e i ministri competenti, e un po’ anche Tremonti», dice il ministro della Difesa. Solo un po’? Lo vedremo.