Ma quanto ci costano quei giudici guardoni?

19 Set 2011 20:31 - di

Se Manuel Winston Reies desiderasse passare una notte con Manuela Arcuri non lo sapremo mai. Le sue conversazioni telefoniche private, infatti, sui giornali non ci sono finite. Anzi, le sue intercettazioni le hanno bellamente ignorate persino gli investigatori. Anche se era il domestico della villa dell’Olgiata dove il 10 luglio del 1991 fu uccisa Alberica Filo della Torre. Anche se, in quelle conversazioni intercettate e poi dimenticate, chiedeva a un connazionale se poteva indicargli chi potesse piazzare un collier e un anello. Eppure tali bobine, allegate agli atti dell’inchiesta, furono ignorate per 20 anni dagli investigatori che non disposero mai le trascrizioni. Cosa che, invece, non accadde a  Mohammed Fikri, 23enne di origini marocchine residente nel bergamasco. Le sue telefonate gli inquirenti le controllarono eccome. A un certo punto fecero persino un blitz spettacolare per arrestarlo. Poco dopo la sparizione di Yara Gambirasio, infatti, l’uomo si sfogava al telefono: «Allah mi perdoni, non l’ho uccisa io». Poi si scoprì che la frase esatta era «Mio Dio, mio Dio, fa che risponda…»: un tunisino gli doveva duemila euro e di questi tempi la cifra val bene una supplica alle potenze superiori.

Ma quanto ci costate?

Intercettazioni realizzate (pagate) e mai utilizzate, intercettazioni realizzate (pagate) e mal tradotte: sotto il cielo di una certa schizofrenia investigativa tutta italiana accade anche questo. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. In termini di inefficienza, malagiustizia, violazione della privacy. E sperpero delle risorse pubbliche. Prendiamo le ultime indiscrezioni diffuse qualche giorno fa circa i costi delle intercettazioni: ebbene, nell’anno giudiziario 2010-2011, i costi previsti per tali pratiche supererebbero i 450 milioni di euro, a fronte dei 270 milioni dell’anno precedente. Le  fonti del ministero della Giustizia che hanno diffuso la notizia hanno fatto notare come il bilancio sia tuttavia provvisorio, in quanto fino alla dichiarazione di chiusura delle indagini non si può accertare se vi siano intercettazioni in corso e quantificare ulteriori relativi costi. Negli ultimi anni, sarebbero stati accumulati debiti con le società che oscillano tra 350 e 500 milioni di euro per prestazioni, e debiti di 500 milioni per i noleggi.Nella speciale classifica, la procura più “spendacciona” sarebbe quella di (rullo di tamburi…) Milano, con 56 milioni di debiti. A seguire Napoli, Palermo e Reggio Calabria.

Un popolo di spiati?

Su quanti siano realmente gli italiani intercettati c’è da sempre poca chiarezza, con le consuete guerre dei numeri. Ai tempi in cui era ancora ministro della Giustizia, Angelino Alfano dichiarò: «Il numero delle intercettazioni fatto nel nostro Paese, 100 mila all’anno, non è giustificato dal numero degli abitanti visto che negli Stati Uniti se ne fanno 1700 e in Svizzera ad esempio 1300». Di sicuro sappiamo che nel 2009 le utenze intercettate sono state più di 132 mila (119 mila quelle telefoniche, mentre le rimanenti sono state registrazioni ambientali). C’è tuttavia chi obietta che se in Italia si registra una media è di 5,3 utenze intestate a ogni cittadino fra telefoni cellulari, fissi, mail etc. i soggetti realmente intercettati sarebbero circa 25 mila. Il tasso sarebbe allora dello 0,042%, cioè di una persona ogni 2.400 abitanti. Chi ci capisce è bravo. Secondo dati delle stesse procure risalenti sempre al 2009, comunque, il costo sostenuto dallo Stato per le intercettazioni sarebbe stato di oltre 272,6 milioni di euro (coincidenti con le cifre riportate sopra da fonti del ministero). Il prezzo della singola intercettazione è calcolato in una media di circa 12,30 euro al giorno.

L’andamento negli anni

Andando a ritroso con gli anni, del resto, si scopre un vertiginoso aumento del ricorso alle intercettazioni. Nel 2003 i bersagli intercettati erano 77.706, con un peso sulle casse pubbliche pari a 247 milioni di euro. Nel 2004, gli “spiati” erano 93.431 con un costo di 269 milioni e mezzo. Nel 2005 le utenze seguite erano 102.217, con una spesa di 300 milioni e 716 mila euro. Nel 2006 spendevamo 229 milioni 279 mila euro per carpire i segreti di 113.343 “bersagli”. Nel 2007 lo Stato ha intercettato 129.081 utenze spendendo 226 milioni e 930 mila euro. Nel 2008, invece, 137.086 intercettazioni sono costate 233 milioni e 208 mila euro. Stando ai dati del primo semestre del 2010, invece, fra i distretti giudiziari italiani si distingue per attivismo intercettivo quello napoletano con 11.900 operazioni, il 9% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Segue, al solito, Milano (9.200 utenze intercettate), Roma (6.500) e Reggio Calabria (5.100). Gli ultimi tre posti sono invece riservati, rispettivamente, a Messina (700 bersagli), Potenza (500) e Campobasso (300).

E lo Stato si indebita
Un altro aspetto interessante e inquietante dell’eccessivo ricorso alle intercettazioni è relativo all’indebitamento dello Stato con le società che affittano le apparecchiature necessarie a spiare centinaia di migliaia di utenze. Nel 2008 la vicenda ha assunto contorni surreali e vagamente umoristici: gli intercettatori hanno infatti minacciato lo sciopero in segno di protesta contro il ministero della Giustizia e la sua ritrosia a saldare i debiti pregressi. Si parla infatti di conti non pagati pari a quasi 500 milioni di euro. Un buco nero che inghiotte tutto e da cui è difficile venir fuori. Allora si parlava di pagamenti a 550 o addirittura 700 giorni, con fatture accumulate risalenti a cinque anni prima. Tutto ciò porta il centinaio di aziende impegnate nel settore a incassare di volta in volta solo cifre irrisorie rispetto a quanto lo Stato dovrebbe loro. Tale situazione portò all’accordo del 2009 tra ministero e creditori del settore: le aziende avrebbero rinunciato al 10% dei soldi da incassare in cambio di uno stanziamento di 180 milioni previsto per il 2010, cifra rivelatasi in effetti irrisoria rispetto ai debiti ulteriormente contratti dallo Stato nel frattempo. Insomma, una situazione prossima al collasso, ancor più incomprensibile se rapportata ai casi di malagestione di cui dicevamo all’inizio. Che poi gli intercettati eccellenti spiati con tale impiego di mezzi parlino un po’ troppo con personaggi squallidi, di argomenti squallidi e in termini squallidi è certo un bel problema. Ma questa è decisamente un’altra storia.

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