«I capi possono reagire o farsi “ammazzare”»

29 Set 2011 19:28 - di

Il dibattito è ancora aperto: è finita l’era del “partito del capo”? Paolo Cirino Pomicino non ha dubbi: «È finita, assolutamente. È durata molto e purtroppo ha determinato alcune macerie, nel senso che ha prodotto un allontanamento dell’elettorato dalla politica». «Ma più che altro – prosegue “Geronimo” – da quindici anni l’Italia non cresce più. Abbiamo avuto per oltre 19 anni un’economia messa nelle mani dei tecnici: Dini, Ciampi, Tremonti, Padoa-Schioppa e siamo nelle condizioni in cui ci troviamo».

Scusi, ma questo cosa c’entra col partito del capo?

C’entra perché col partito del capo sono scomparsi i partiti, che altro non erano che dei contenitori in cui si selezionavano darwinianamente sia le idee che le energie. Siamo in mancanza di luoghi fisici in cui possono avvenire le selezioni darwiniane e questo si accompagna a un’altra cosa determinata dall’arrivo dei partiti personali: la messa in soffitta delle culture politiche di riferimento. Noi siamo l’unico Paese europeo in cui non sono rappresentate le quattro grandi culture politiche. In cui non ci sono un partito socialdemocratico, un partito cristiano democratico, un partito ambientalista e un partito liberale. Questo cosa significa o che noi abbiamo trovato il Santo Graal del governo della società moderna o che noi viviamo un’anomalia. Io direi che la seconda è molto più probabile della prima.

Ma molti osservatori ritengono che stiamo uscendo da questa anomalia…

Sì, ma non è ancora chiaro come. In politica tutto si tiene, vale a dire che il partito personale, che ha messo in soffitta le culture di riferimento e che svolge una selezione cortigiana e non darwiniana della classe dirigente, in questo momento ha di fronte a sé due strade: o quella della gestione illuminata, in cui i capi capiscono che è finita un’epoca e decidono di coltivare loro la creazione di un partito a democrazia interna; o l’uscita da questo periodo pieno di anomalie nel momento in cui il capo “muore” o viene “ammazzato”.

Solo che nessun capo sembra intenzionato a farsi “ammazzare”. E questo riguarda non solo Berlusconi, ma anche il Pd.

Anche il Pd ha vissuto la sua anomalia. È stata di segno diverso, ma è frutto del contagio del berlusconismo. Hanno tentato di trovare un Berlusconi di sinistra cambiando segretario ogni anno. E ognuno è stato subito messo in discussione. Il fatto è che i segretari del Pd erano alla vecchia maniera, come a mio giudizio è giusto, ma si sono fatti contagiare. E il contagio è avvenuto anche in un partito che non si sa cosa sia come l’Idv, che è un insieme di cose le più diverse e strane, da Scilipoti – senza voler offendere nessuno – alla follia per cui sta nel gruppo europeo dei socialdemocratici.

Mettiamo che nessuno faccia un passo indietro…

Sarebbe un grave errore. Se invece fanno un passo indietro possono attivare gli strumenti della politica. C’è quel vecchio aforisma inglese che dice che i partiti sono i peggiori soggetti della democrazia, ma che nessuno ne ha inventati di migliori. L’alternativa ai partiti è il governo degli uomini senza volto, quelli della finanza e dell’informazione. C’è bisogno che tornino i partiti, con la loro vita interna, le loro culture di riferimento, la loro capacità di selezionare la classe dirigente. Se ci fosse democrazia interna ai partiti non avremmo nemmeno la questione dei nominati. Nel sistema tedesco il 50 per cento degli eletti sta in lista bloccata, ma il partito ha una sua democratica vita interna.

In Italia si sta cercando di superare la questione con le primarie.

Una follia. Le primarie sono di stampo americano, ma qui non siamo americani. Nella storia politica europea ci sono i partiti fatti di militanza, negli Stati Uniti il governo è fatto dalle grandi lobby. La storia europea è un’altra e le varie opzioni politiche hanno bisogno di un partito strutturato, capace di selezionare la classe dirigente. Trovo ridicolo che si immagini di uscire dai partiti personali facendo le primarie, perché poi ognuno finisce per fare il leader virtuale delle piazze o della rete. Il dato vero è che bisogna avere l’umiltà di capire che la stagione indotta dalla vicenda del ’92 è finita e che bisogna tornare a quello che c’è in tutta Europa: partiti che fanno congressi democratici ed eleggono i leader, e in cui il capo del governo è il segretario del partito di maggioranza, tranne che il partito di maggioranza non rinunci per allargare la maggioranza, come è successo per esempio con Spadolini e Craxi. È una regola non scritta, ma democratica.

Così non si fa un passo indietro rispetto al bipolarismo e alla possibilità per l’elettore di scegliere il capo del governo?

Questa possibilità è legata al partito personale, ma poi bisogna essere conseguenziali. Se il cittadino può scegliere il capo del governo in cabina elettorale allora bisogna che ci sia un sistema presidenziale. Ma se si sta in una democrazia parlamentare, come la nostra, allora è il Parlamento che fa e disfa maggioranze e governi. Tertium non datur, o se è dato ci si ritrova nel casino che abbiamo noi: un presidenziale meticcio, che in realtà è una democrazia parlamentare, in cui il capo del governo non ha i poteri del sistema presidenziale e il Parlamento conta come il due di coppe.

Quanto è forte il rischio antipolitica?

È altissimo. Io ho evitato di andare in televisione a dibattere dei libri sulla casta perché o si fanno i nomi e i cognomi o si finisce per fare un’operazione velenosa per le istituzioni, il Parlamento, la politica tout court. Bisogna distinguere la responsabilità dei singoli da quella della politica. Ma anche qui tutto si tiene con il partito personale, che genera non solo la selezione cortigiana della classe dirigente ma anche il premio di maggioranza. Il bipolarismo è sempre esistito: in Germania i socialdemocratici e i cristiano-democratici sono due poli alternativi, così come nella Prima Repubblica lo erano Dc e Pci. Solo che una cosa è il bipolarismo politico e altro è il bipolarismo elettorale. Il meccanismo del premio di maggioranza non si basa sulle affinità o sulla crescita di due grandi partiti. Messe da parte le culture di riferimento, i due poli finiscono per essere quasi sempre dei caravanserraglio legati alla persona e all’utilità del premio di maggioranza. E così si è generato il caos, il massimo della confusione, che è terreno fertile anche per l’antipolitica.

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