C’è chi ci vuole più “poor” e un po’ meno “standard”
Sempre meno standard, sempre più poor, cioè “povero”. Il destino del nostro Paese, a quanto pare, sembra essere segnato, almeno a sentire l’oracolo del terzo millennio, l’agenzia di rating. L’ente statunitense (privato) nato nel 1941 dalla fusione fra Standard Statistics e Poor’s Publishing ci dà i voti e ci mette dietro la lavagna. L’assurdità di un sistema in cui il primo che si sveglia la mattina si alza e declassa uno Stato sovrano in base a considerazioni politiche del tutto opinabili è costernante, ma d’altra parte è la finanza globale, bellezza.
Fulmine a ciel sereno
Tutto è accaduto lunedì, a tarda serata, quando l’agenzia statunitense ha deciso di declassare a sorpresa il rating sul debito italiano portandolo ad “A” dal precedente “A+” e confermando peraltro un “Outlook negativo”, cosa che non mette al riparo il Paese da altre future revisioni al ribasso sulla sua capacità di fare fronte al debito pubblico. «Il downgrade – ha spiegato Standard&Poor’s – riflette la nostra visione sulle prospettive di crescita indebolite». Nel mirino degli analisti «la fragilità della coalizione di governo in Italia» che, con «le divisioni politiche all’interno del Parlamento», rischia di «limitare la capacità del governo nel rispondere incisivamente alle sfide macroeconomiche interne ed esterne». Una situazione che, a detta di S&P, potrebbe vanificare gli sforzi per far quadrare i conti e rilanciare la crescita. «Riteniamo che il rallentamento dell’attività economica italiana renderà difficilmente raggiungibili gli obiettivi fiscali rivisti dal governo», ha infatti aggiunto l’agenzia. L’analista di S&P, Moritz Kraemer, ha inoltre dichiarato ieri che è possibile che l’Italia subisca, nei prossimi 12-18 mesi, un «nuovo taglio del rating» se non ci sarà un’accelerazione della crescita.
Botta e risposta
Le considerazioni sulle «divisioni politiche» suonano però evidentemente stonate in bocca a un istituto che dovrebbe limitarsi ad algidi dati tecnici. Tant’è che una nota di Palazzo Chigi ha precisato: «Il governo ha sempre ottenuto la fiducia dal Parlamento, dimostrando così la solidità della propria maggioranza. Le valutazioni di Standard&Poor’s sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche. Vale la pena di ricordare che l’Italia ha varato interventi che puntano al pareggio di bilancio nel 2013 e il governo sta predisponendo misure a favore della crescita, i cui frutti si vedranno nel breve-medio periodo». La nota ha suscitato un’ulteriore replica dell’agenzia americana, che ha precisato come le valutazioni sul debito italiano siano «basate su un’analisi dettagliata e indipendente delle prospettive economiche e fiscali dell’Italia» e «apolitiche e prospettiche del rischio di credito fornite agli investitori. La valutazione di S&P è basata su analisi dettagliata e indipendente delle prospettive economiche e fiscali dell’Italia e sulle ipotesi relative all’andamento prospettico atteso del debito (come illustrato ampiamente nei due reports pubblicati)», spiega l’agenzia. I rating sovrani di S&P «sono valutazioni apolitiche e prospettiche del rischio di credito fornite agli investitori». I rating «indicano come diverse iniziative politiche possono impattare l’affidabilità finanziaria e non intendono dare alcun suggerimento sulle politiche che un governo dovrebbe o non dovrebbe perseguire.»
Ci si mette anche il Fmi
In tutto ciò, a complicare le cose arriva anche la stima del Fondo monetario internazionale. Secondo il Fmi, infatti, nel 2012 il Pil italiano crescerà solo dello 0,3%, dimezzando l’aumento stimato per il 2011 allo 0,6%. Nel “World Economic Outlook” dell’Fmi è inoltre previsto un rallentamento dell’inflazione, che passerebbe all’1,6% dal 2,6% di quest’anno. Nel capitolo dell’Outlook dedicato all’Europa, l’Fmi sottolinea come «gli alti deficit pubblici, l’alto debito, il calo del Pil potenziale e le crescenti tensioni sui mercati si facciano sentire sulla crescita». Inoltre, si legge ancora nel documento, «è in atto una transizione che aumenta le distanze sul rischio per il debito sovrano fra i paesi membri dell’Eurozona». Su questo fronte, scrivono i tecnici del Fondo, «per ritrovare credibilità sui mercati è fondamentale una rapida applicazione delle misure decise al vertice Ue» dello scorso 21 luglio.
Ma l’Ue è con l’Italia
Una voce dissonante, una volta tanto, giunge invece dall’Europa, che finalmente apre bocca per proteggere uno degli stati membri. «L’Italia – ha sottolineato Amadeu Altafaj, portavoce del commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn – sta prendendo i provvedimenti necessari per raggiungere gli obiettivi di riduzione del debito e del deficit. La Commissione non commenta i giudizi delle agenzie di rating, detto questo ricordo la nostra valutazione sui due pacchetti adottati dall’Italia a luglio e settembre, con l’obiettivo è di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, un obiettivo anche più ambizioso rispetto a quanto raccomandato dal Consiglio». Il portavoce ha tenuto a sottolineare che «la piena attuazione di queste misure dovrebbe permettere all’Italia di raggiungere il pareggio di bilancio e di incamminarsi lungo un percorso stabile di riduzione del debito».
La maggioranza contro S&P
Rispetto alla bacchettata di S&P, comunque, il centrodestra fa quadrato. Ed è Roberto Calderoli a porsi un dubbio che sempre più persone hanno in testa: «Che lo Stato debba essere giudicato da un privato mi sembra discutibile», ha detto infatti il ministro per la Semplificazione normativa. «Probabilmente Standard&Poors ha fatto la sintesi dei quotidiani degli ultimi giorni. Ma per fortuna non tutte le agenzie di rating sono uguali», ha invece commentato il sottosegretario al ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano. Fabrizio Cicchitto ha invece parlato di un «documento più di tipo politico che di tipo economico, e su questo terreno pesa molto negativamente la radicalizzazione della vita politica italiana che la sinistra e un settore di magistrati stanno provocando in un momento così delicato nel quale è in corso un attacco speculativo all’euro». Per Silvano Moffa, capogruppo alla Camera di Popolo e Territorio, «è arrivato il tempo di porsi il problema delle valutazioni delle agenzie di rating perchè non è possibile che le politiche economiche dei governi siano dettate dai giudizi da queste agenzie, la cui attendibiltà è stata più volte messa a dura prova». Per Guido Crosetto, poi, c’è «una eccessiva concentrazione di interesse sull’Italia. E la cosa è preoccupante, non mi sembra un atteggiamento normale. Evidentemente la settima economia al mondo è diventato un boccone appetibile per la speculazione internazionale. Al punto che ormai si può provare a comprare società primarie ialiane con quattro lire…».