Partigiani, giudici, atleti: ognuno ha il suo veto
Risparmiare? Tagliare? Fare sacrifici? Mostrare senso di responsabilità? Giusto, sacrosanto. Di questi tempi, poi. L’importante è che la cinghia cominci a stringerla lui. No, lui. Anzi, lui. Insomma, anche sull’orlo del baratro l’Italia si dimostra il Paese dei veti incrociati. Perchè, al di là delle belle parole, poi si sa che sono tutti responsabili col potrafoglio degli altri. Proprio in queste ore non c’è associazione di categoria, sindacato, circolo o bocciofila che non abbia alzato la voce contro tagli veri o presunti, sottolineando che certo, il momento è duro, ma perché devono essere proprio loro a pagare?
“Che c’azzecca” la Costituzione?
In prima fila fra gli indignados del portafoglio, al solito, si distinguono i magistrati. Il presidente dell’Anm, Luca Palamara, per non saper né leggere né scrivere, la spara più grossa che può: la manovra è «incostituzionale». Il richiamo è all’articolo 53 della Carta, che, per la cronaca, recita testualmente: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Come da questa – sacrosanta ma generica – petizione di principio possa derivare un veto rispetto ai tagli nel settore del pubblico impiego non è dato sapere.
Anche i Totti piangono
Se le proteste dei magistrati gridano vendetta, hanno creato una vera e propria sollevazione popolare le bizze dei calciatori rispetto al progettato (e poi abrogato) contributo di solidarietà che avrebbe chiamato i Totti, i Buffon e i Gattuso a dare qualcosa in più in un momento di grave crisi economica. Apriti cielo. «Paghino le società», era stata la risposta dei giocatori. Il ragionamento si basava su un punto: nel contratto dei calciatori i compensi sono calcolati al netto, quindi non c’è manovra che tenga. Al di là dei calcoli da ragioniere, tuttavia, rimane l’impressione di una generale insensibilità e goffagine mediatica da parte di un ambiente che definire privilegiato è dir poco.
Insomma, c’era proprio bisogno di puntare i piedi in quel modo rispetto a un obolo che sarebbe stato veramente difficile considerare iniquo? E infatti il ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, sbottò: «Se dovessero continuare a minacciare scioperi o ritorsioni, proporrò che come ai politici anche ai calciatori venga raddoppiata l’aliquota del contributo di solidarietà».
“Ancora fischia il vento”?
Ma oltre ad aver creato la figura – di cui francamente non si sentiva la mancanza – del calciatore sindacalista, la manovra è riuscita anche a risvegliare niente meno che i partigiani. Proprio per oggi, infatti, l’Anpi ha convocato una seduta straordinaria «per discutere su ulteriori iniziative – dopo gli interventi sui gruppi parlamentari e le prese di posizione sulla stampa – da adottare al fine di contrastare la norma della manovra finanziaria che sposterebbe ad altra giornata le festività civili del 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno». E giù improbabili paragoni con il 14 luglio francese o con i 4 luglio americano, date centrali e quasi sacrali nelle rispettive nazioni laddove invece le feste laiche italiane citate galleggiano in genere fra l’indifferenza e la retorica, salvo forse per l’iniezione adrenalinica del concertone di piazza San Giovanni. Il che è tutto dire. «C’è un diffuso allarme – spiegano tuttavia i partigiani – in gran parte del mondo democratico e dei cittadini che credono all’importanza di alcuni valori imprescindibili». Sarà. Intanto dai tagli agli enti pubblici sono state escluse anche le fondazioni «la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni».
La protesta delle coop
Potevano mancare, in questo panorama, le proteste delle coop? Non, non potevano. E infatti eccoci qui. La manovra prevede infatti una stretta sulle agevolazioni fiscali alle copperative. Sgravi, per capirci, pari a 714 milioni di euro all’anno. Ma anche qui è scattato il veto: “La vendetta di Berlusconi contro le Coop”, titolava ieri L’Unità. «Nel vertice di maggioranza di Arcore si è proposto un intervento che colpirebbe l’unica forma di impresa solidaristica», ha protestato Luigi Marino, presidente di Confcooperative. Eppure l’idea romantica delle cooperative, ha detto lo storico Valerio Castronovo citato dal Corriere della Sera, «è paragonabile a quello del militante che gira con la foto di Enrico Berlinguer nel taschino, vagheggiando un’età dell’oro ormai scomparsa».
E poi medici, veterinari, radiologi…
Ma, c’è da dire, in Italia non ci facciamo mancare niente. E così al carrozzone si aggiunge il Simet (Sindacato italiano medici del territorio) che ha tuonato contro la stretta sul riscatto degli anni della laurea e del servizio militare, norma poi stralciata dal testo della manovra. «Inaccettabile», aveva borbottato il segretario nazionale Mauro Mazzoni. E quando la norma è saltata i camici bianchi non si sono ancora placati. «Dopo tutti questi va e vieni a chi dobbiamo credere?», si è chiesto il presidente di Federazione veterinari e medici Aldo Grasselli, per il quale nella manovra «la mobilitazione andrà avanti sino a che non ci sarà un pieno riequilibrio dei sacrifici». Meno battagliero Francesco Lucà, segretario del Sindacato nazionale radiologi, che ha dichiarato: «Il movimento massiccio dei lavoratori del pubblico impiego ha fatto sì che il governo rinunciasse al colpo di mano sulle pensioni. A quanto pare l’unione fa la forza».
E per finire: gli enti locali
Guai, infine, a toccare province o piccoli comuni. Anche lì, infatti, è praticamente un nido di vespe. «Una manovra che cambia di ora in ora, e che dimostra quanto il governo sia lontano dai problemi del Paese reale», ha sentenziato stizzito il vicepresidente vicario dell’Upi Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino. «I proclami sull’abolizione delle province – ha aggiunto – non sono altro che l’ennesima cortina di fumo alzata per coprire gli errori che il governo sta commettendo». Pronti si accodano anche i rappresentanti dei comuni. «In seguito alla iniziativa che, come Anci, abbiamo messo in atto lunedì scorso a Milano, con migliaia di sindaci in piazza, dalla versione originaria del testo della manovra di agosto sono state rimosse alcune norme che nella sostanza cancellavano giunte e consigli comunali nei piccoli comuni. Un risultato importante ma non risolutivo del problema che proprio la manovra varata dal governo ha aperto», hanno affermato i rappresentanti dell’Anci, sottolineando che lo stralcio delle norme sui piccoli Comuni «è fondamentale» altrimenti i sindaci sono pronti a tornare in piazza. Avanti il prossimo.