Ora anche gli hacker diventano supereroi
Beati i Paesi che non hanno bisogno di eroi, tanto meno in costume. L’ultimo in ordine di tempo si fa chiamare Spider Truman e l’hanno già definito, assai generosamente, l’Assange italiano. Con la differenza, neanche troppo irrilevante, che il principe degli hacker, paladino della libertà dei media, c’ha messo la faccia mentre l’altro s’è nascosto dietro il mantello vintage di “The Spider”, l’eroe d’inchiostro degli anni Trenta, resuscitato negli anni Novanta grazie a Timothy Truman.
La fabbrica dell’indignazione s’accontenta di poco: una pagina su facebook e un sito – isegretidellacasta.blogspot.com – sono stati sufficienti affinché le adesioni fioccassero a decine di migliaia, talmente veloci da costringere gli organi di informazione online ad aggiornare le cifre in tempo reale. Di reale e soprattutto di nuovo, tuttavia, c’è poco. Niente che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo non abbiano già dettagliatamente messo nero su bianco. Per essere stato, come sostiene, un precario di lungo corso a Montecitorio, s’è limitato al copia incolla.
Dell’eroe anarchico di V per Vendetta, il nostro ha solo la maschera. Se Spider Truman scrive – come racconta egli stesso – «da un anonimo internet-point di una calda città italiana», il protagonista del film di James McTeigue, per svegliare le coscienze dei londinesi del futuro attraverso immaginifiche azioni dimostrative, c’ha rimesso le piume e Assange, nella Londra del presente, più esattamente a Nortfolk, è ai domiciliari, per un’accusa di stupro che fa acqua da tutte le parti. Il reato contestatogli sarebbe quello di aver avuto rapporti sessuali non protetti, seppur consenzienti, con due donne e di aver rifiutato di sottoporsi a un controllo medico sulle malattie sessualmente trasmissibili: una condotta “sessualmente scorretta” che però in Svezia assume aspetti penalmente rilevanti. Parliamoci chiaro: il problema non è la liceità del sesso con o senza preservativo, ma l’offensiva iconoclasta che Assange ha lanciato nei confronti del mondo della diplomazia internazionale, diventando in breve lo spauracchio di poteri e governi di tutto il mondo.
A ricostruirne la vicenda, in tutte le sue sfaccettature – non ultima la curiosa coincidenza temporale tra le rivelazioni di WikiLeaks e il provvedimento cautelare che ne ha colpito il founder – arriverà il 24 agosto in libreria una grapich novel edita da Becco Giallo e realizzata dallo sceneggiatore Dario Morgante e dal disegnatore Gianluca Costantini. Per farlo, Julianange & WikiLeaks (pp. 144, € 15) attraversa due interi decenni di sfide informatiche e risponde, se non a tutte, a molte delle domande che dal 5 aprile del 2010 – data della conferenza stampa a Washington con cui Assange diffuse un video che mostrava l’assassinio di una dozzina di civili iracheni, tra cui due giornalisti della Reuters, durante l’attacco di due elicotteri Apache americani – molti continuano a farsi su WikiLeakes e sulla comunità che, nel bene e nel male, l’ha generata: quella dei pirati informatici.
Chi sono gli hacker? E perché violano la legge andando incontro a spiacevoli conseguenze? Così l’Assange d’inchiostro risponde alle domande del giudice: «Essere un hacker vuol dire interrogare continuamente il grado di libertà che la società è in grado di esprimere, e farlo tramite la tecnologia informatica con la quale siamo cresciuti. Le aziende, le corporation, i militari, i governi. Tutti celano informazioni per diversi motivi. A volte queste informazioni sono inutili, altre volte decisivie. Secondo gli hacker è giusto che siano condivise». Gli hacker, da parte loro, si sono schierati apertamente dalle parte di Assange, pagandone il prezzo: è notizia dei giorni scorsi la retata con cui l’Fbi e il ministero della Giustizia americano, nell’ambito di un’indagine su Anonymous, l’ormai celebre gruppo di maneggioni informatici, hanno proceduto a decine di arresti tra Nuovo e Vecchio continente. Di quale reato si sono macchiati? Hanno colpito il sistema di pagamenti web e i suoi più grandi operatori simulando un altissimo numero di contatti per paralizzarne i siti: da Mastercard a Visa fino a Paypal. «Strumenti del clientelismo politico americano», per usare le parole di Assange. Una rappresaglia dovuta alla decisione di chiudere conti e servizi a WikiLeaks, bloccando così le offerte dei sostenitori nel momento più critico.
Giornalista, programmatore e attivista australiano, quarant’anni compiuti lo scorso 3 luglio, Assange già negli anni Ottanta era, col nickname di Mendax, uno degli International Subversives, storico gruppo di hacker, ma è con WikiLeaks, icona della controinformazione corsara, che ha raggiunto la popolarità. Il 28 novembre 2010 rende di dominio pubblico oltre 250mila documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali considerati confidenziali, se non “segreti”, e sicuramente imbarazzanti. Non molto tempo dopo, inseguito da un mandato di cattura internazionale, Assange preferisce presentarsi spontaneamente negli uffici di Scotland Yard piuttosto che finire nelle galere svedesi o, peggio, in quelle statunitensi, Paese dove tuttora rischia di essere estradato, sia pure in mancanza di un’incriminazione formale (spionaggio?), in quanto ritenuto genericamente nemico della sicurezza globale.
«La sua – ci dice Dario Morgante, sceneggiatore, scrittore e agitatore culturale – è una figura cristologica, radicale nelle sue convinzioni quanto inevitabile. Un vecchio adagio dice che se in un film fai vedere una pistola, questa prima o poi deve sparare e la vicenda di WikiLeaks è il logico e prevedibile epilogo della rivoluzione informatica iniziata negli anni Settanta con i primi approcci alle nuove tecnologie». Non è certo un caso, del resto, che nella grapich novel sia presente una cronologia di tale rivoluzione e non della vita di Assange.
Lontano dalla biografia classica, questo libro a fumetti assume una valenza generazionale – Morgante è coetaneo di Assange – per tutti coloro che si sono misurati sin da giovanissimi con i computer. Nell’opera di Morgante e Costantini, novità assoluta in un fumetto, appaiono due sequenze “cinematografiche” – tratte da I tre giorni del Condor (1975) e Wargames (1983) – che restituiscono la prospettiva, sempre più incalzante in quegli anni, della condivisione delle informazioni, leitmotiv che ha accompagnato la crescita dei nati tra i Sessanta e i Settanta. Nel primo film un giovane Robert Redford interpreta uno studioso prestato alla Cia che, per combattere oscure macchinazioni, arriva alla conclusione che l’unica via d’uscita sia rendere tutto pubblico. Nella seconda pellicola, un ragazzino appassionato di informatica, nel tentativo di introdursi con il suo pc nel sito di una nota casa di videogiochi finisce per invadere quello del Pentagono, rischiando di scatenare una guerra nucleare. «Per noi, all’epoca poco più che bambini – ci spiega Morgante – quella era la realtà e ci sembrava normale che un giorno potessimo accendere il computer e fare altrettanto». Non tutti, naturalmente, sono diventati hacker ma la maggior parte di loro si è formata l’irrinunciabile convinzione che niente possa essere più nascosto sotto al tappeto.
Una cosa, comunque la si pensi al riguardo, è certa: l’era della privacy è tramontata e Assange e lo stesso Zuckerberg sono – come ha scritto il Time – «due facce della stessa medaglia», anche se paradossalmente il papà di facebook è portato in trionfo e l’altro è all’inferno. «Il nostro mestiere – dice l’Assange – è divulgare i fatti, così l’opinione pubblica potrà farsi delle idee in maniera un po’ più libera e non manipolata». Per farsi un’opinione consapevole sulla vicenda WikiLeaks, pertanto, non rimane che leggere Julian Assange & WikiLeaks.