È il primo atto della «guerra contro gli islamofascisti»

26 Lug 2011 20:33 - di

È stato finalmente accertato il numero delle vittime degli attentati di Oslo: è di 76 morti il bilancio di coloro che hanno perso la vita negli attacchi compiuti da Anders Behring Breivik venerdì: otto a causa della bomba piazzata nel centro di Oslo, 68 quelle uccise a sangue freddo al campo estivo dei giovani laburisti a Utoya. Lo ha detto il capo della polizia norvegese Oystein Maeland in una conferenza stampa nella sede della polizia di Oslo.
Mentre la Norvegia esce lentamente dall’incubo, le indagini vanno avanti: la polizia rimane ancora convinta che Breivik abbia agito da solo e non si sia appoggiato ad alcuna cellula esterna, come invece da lui sostenuto nell’udienza preliminare. «Riteniamo che l’accusato abbia una credibilità piuttosto bassa per quanto riguarda questa affermazione, certo nessuno di noi comunque può escludere del tutto che sia vera», ha detto all’agenzia Reuters una fonte vicina alle indagini. Si dubita anche che Brevik sia parte di una “crociata” anti-Islam e anti-marxista, come da lui sostenuto nel manifesto di oltre 1.500 pagine che alcuni esperti norvegesi vedono piuttosto come il frutto della fantasia di uno psicopatico che vuole solo confondere le acque.
La polizia norvegese fa sapere inoltre che pensa di invocare una nuova disposizione del codice penale per «crimini contro l’umanità » nei confronti di Breivik, che aveva subito ammesso di essere l’autore della strage. Lo riferisce il procuratore citato da un giornale locale. Introdotta nel codice penale norvegese nel 2008, la norma sui crimini contro l’umanità prevede una pena massima di trent’anni di reclusione. Citato dal giornale Aftenposten, il procuratore Christian Hatlo ha sottolineato che il ricorso a tale norma è al momento solo un’eventualità. Finora la polizia ha fatto riferimento ad «atti di terrorismo» che prevedono una pena massima di 21 anni.
Intanto il ministro della Giustizia norvegese, Knut Storberget, è intervenuto per gettare acqua sul fuoco delle critiche giunte da più parti circa la scarsa tempestività con cui le forze dell’ordine sarebbero intervenute in soccorso dei giovani laburisti. E lo fa senza mezzi termini, definiendo «fantastico» l’operato della polizia. «È molto importante avere un atteggiamento aperto e critico ma c’è un tempo per ogni cosa», ha dichiarato ai giornalisti il ministro Storberget, dopo un colloquio con il capo della polizia, in una difesa che sembra essere più dettata da un dovere d’ufficio che da una convinzione vera e propria.
Inizia anche a delinearsi anche la strategia della difesa dello stragista norvegese, che pare muoversi su due fronti, quella dello squilibrio mentale da una parte e quella dello sgravio parziale delle responsabilità. Secondo quanto ha affermato nuovamente il legale di Breivik in una conferenza stampa a Oslo, la sua azione sarebbe stata supportata da «due cellule» solo in Norvegia e da «diverse altre» all’estero. L’avvocato Geir Lippestad ha detto che Breivik gli ha dichiarato di essere parte di un network anti-islamico che ha due cellule in Norvegia e varie all’estero. Sull’esistenza di tale rete gli inquirenti nutrono dubbi, come anche sull’esistenza di complici, che invece Breivik cerca di accreditare. L’avvocato ha anche aggiunto che «tutta la vicenda indica che lui sia folle», sebbene sia presto per affermarlo con certezza. Breivik, ha riferito ancora il difensore, si aspettava di essere ucciso durante gli attacchi di venerdì. Secondo Lippestad, Breivik «si vede come una sorta di guerriero. Ha iniziato questa guerra e ne prova in qualche modo orgoglio». Il fanatico xenofobo, ha spiegato il legale, «detesta tutte le idee occidentali e i valori democratici… si aspetta che questo sia l’inizio di una guerra che prevede durerà sessant’anni».
Passando alle reazioni dell’autore della strage, l’avvocato denuncia a tutt’oggi che «non mostra alcun segno di pietà» per le vittime. «È normale avere dei sentimenti, invece Breivik non ne ha». Il folle, inoltre, «aveva sperato di usare il tribunale per lanciare le sue idee». Ma quest’ultima possibilità gli è stata inibita dal tribunale.
Verso la tesi della follia lucida conduce anche la ricostruzione del britannico Guardian, il quale rileva che Anders Behring Breivik aveva studiato un piano dettagliato di diversi anni per finanziare gli attacchi del 22 luglio. Il quotidiano fa riferimento al testo di 1.500 pagine pubblicato sul web dal killer norvegese. Oltre a un impiego stabile presso una azienda di servizi, Breivik aveva fondato una società specializzata in programmazione informatica che in certi periodi è arrivata ad avere fino a sei dipendenti. Anche se alla fine è fallita, questa società ha garantito a Breivik nel 2008 circa due milioni di corone svedesi (intorno ai 260mila euro) che gli hanno permesso di proseguire nella pianificazione degli attentati. Stando ai conti del killer, servivano 30mila euro per le armi, 100mila euro per gli esplosivi e altri 20mila per logistica, trasporti e alloggio.
Infine, secondo Searchlight, organizzazione del Regno Unito protagonista di un monitoraggio ossessivo verso manifestazioni di intolleranza dei fondamentalisti di estrema destra, Breivik tenne contatti con esponenti della English Defense League britannica usando lo pseudonimo di Sigurd Jorsalfare, un re crociato norvegese del dodicesimo secolo.In questi messaggi, il norvegese auspica una «battaglia in comune contro gli islamofascisti».

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