E nella borgata rossa Franceschini s’intristisce…
Quando è arrivato alla Rustica, alla periferia di Roma, Dario Franceschini s’aspettava un’atmosfera diversa. Da quanto gli avevano sempre raccontato, le feste dell’Unità (o del Pd, come dir si voglia) erano sempre ricche di militanti, quotidiano sotto il braccio, bandiere dappertutto, applausi, porchetta e patatine fritte. Specialmente poi nelle borgate, dove il rapporto con i militanti era sempre stato stretto, il famoso “radicamento” sul territorio del partito che tutto poteva e a cui tutto si doveva. E invece lì, alla Rustica, zona considerata “rossa”, c’era un’aria un po’ così. Franceschini si è presentato in jeans e camicia, lasciando giacca e cravatta nelle sedi istituzionali. Meglio essere alla mano, non ci sono imprenditori e professionisti, agli operai bisogna dare l’idea di essere «uno di loro». Non è servito a nulla, il buon Dario ha rinunciato all’intervento, si è messo seduto a tavola assieme agli organizzatori della festa, ha guardato col naso all’insù gli anziani che si cimentavano nei balli di gruppo con passi incerti e ripetitivi, al suono delle tipiche orchestrine delle feste di piazza. «Ma che ci faccio qui?», avrà pensato. Lui, uno dei massimi esponenti democratici, costretto a passare le ore al suono dei Watussi con i “compagni” che zompettano credendosi ballerini. Di sicuro non s’è dato una risposta, quando il partito ti chiama bisogna pure rispondere. Un anziano, capelli bianchi e maglietta nera a maniche corte, s’è chiesto: «Ci ha dato il contributo per la festa?». Negli occhi di uno dei responsabili s’intuiva già la risposta. Niente appeal, niente contributo.