«Al Pdl servono cuore e milza per rialzarsi»

7 Giu 2011 19:27 - di

Fosse per lei, quel Pdl uscito malconcio dalle elezioni lo ribattezzerebbe il Partito della Milza e del Cuore. «Serve milza, per filtrare i cattivi umori e i veleni, e cuore, per avvicinarci di nuovo alla gente, proprio fisicamente…». Margherita Boniver, storica esponente dell’ala socialista del Pdl, all’indomani della sconfitta elettorale, affonda le dita nella carne viva, non prima di aver spiegato che il tracollo ha avuto cause molteplici: dal trend negativo di tutti i governi europei nelle elezioni di medio termine, alla crisi, fino agli errori nella comunicazione.

Tra le cause non ci ha messo una delle più gettonate, almeno a sinistra: la parabola di Berlusconi.

Mah, le parabole possono anche essere lunghissime, di Silvio lo si dice dal ’94. A me pare che il premier abbia reagito nel modo giusto inventandosi la figura del segretario politico, affidata a questo giovane galantuomo dalle grandi capacità, alle prese con un compito arduo.

Che consigli darebbe ad Alfano?

Consigli non richiesti, spero graditi. Prima però vorrei fare una premessa. Io ho attraversato un periodo in cui i partiti e le correnti erano vivai di democrazia. Nel Psi tutte le settimane ci si riuniva nella sezione vicino casa, si discuteva fino alle tre di notte, si faceva politica 364 giorni l’anno, tranne che a Natale. Accadeva quello che accade tutt’ora in paesi come l’Inghilterra, con i parlamentari che fanno il week-end “open house”, ospitando gli elettori a casa propria per un tè, nel fine settimana.  

Le pare possibile in Italia?

No, anche perché noi siamo nominati, non eletti sul territorio. Però quello che posso dire, a noi del Pdl, è che dobbiamo ritrovare la capacità di ascoltare, girando sul territorio, recependo richieste, lamentele, proposte, attraverso centri di ascolto, convegni, gazebo, incontri politici. Quello che i leghisti fanno benissimo tutto l’anno: stare tra la gente.

Non la piace il partito liquido, leggero, che va in rete?

No, il web non può sostituire il contatto umano: meglio andare a fare merenda con i vecchietti dell’ospizio per capire il Paese.

Confessi. Lei vuole il partito dell’amore.

No, ma è vero che una volta anche all’interno dei partiti ci si voleva più bene, erano delle famiglie dove gelosie e liti esistevano, ma il contesto era comune, di appartenenza. E soprattutto, si faceva un grande lavoro intellettuale.

Nel Pdl no?

Diciamo che c’è un deficit di elaborazione politica.

Se fosse Berlusconi?

Aprirei la maggioranza all’Udc.

Ma c’è una pregiudiziale: il Cav deve andare via.

È chiaro che io non mi butterei dalla torre per accontentare Casini, però i tempi sono maturi per aprire una fase due del Pdl, per iniziare a ragionare con altre forze a noi affini, in una fase in cui il Terzo polo s’è rivelato evanescente.

Lei parla di vicinanza alla gente. Dove sbaglia il Pdl?

Per esempio con le donne, che hanno difficoltà ad essere valorizzate. Che spreco.

Questa frase potrebbe suscitare ironie: sa com’è, il Cavaliere rubacuori, le veline, il bunga bunga.

Io so che in Parlamento ho delle colleghe bravissime, ma non è questo il punto. Le donne vanno ascoltate di più tra l’elettorato, vanno valorizzate le intelligenze, le capacità di chi opera nella società civile. Il Pdl, come tutti gli altri partiti, del resto, è maschilista.

Non è che il Psi di Craxi brillasse per femminismo.

Vero, in parte. Perché fu Bettino, per la prima volta, a introdurre le quote rosa negli organi dirigenti, di cui io fui la prima a beneficiare.

Le primarie le piacciono?

Non ne sono particolarmente entusiasta. Un partito come il nostro, così leggero, non può risolvere i suoi problemi con le primarie, soprattutto se riguardano l’indicazione di Berlusconi, così diventano grottesche. Le primarie o sono vere, come in America, dove si sceglie il candidato che sa parlare agli allevatori di maiali dell’Iowa e ai banchieri della city di Washington, oppure qui, all’italiana, rischiano di essere una farsa.

Magari se si facessero vincerebbe una donna, però. Lei chi voterebbe?

Maria Teresa Armosino, una collega bravissima.

E il Pdl come lo strutturerebbe?

A me piace la soluzione Miccichè, un sistema regionale con coordinatori locali, quelli sì, scelte con le primarie.

Manterrebbe lo schema 70-30 tra Fi-An?

No, lo considero una sciocchezza, ormai, soprattutto alla luce della scissione dei finiani.

Cuore e milza a parte, che nome darebbe al Pdl del futuro?

La invito a leggere il libro “Napoli 44”, scritto da un soldato inglese, Norman Lewis, che racconta l’Italia uscita povera e malridotta dal dopoguerra. Lui descrive uno dei primi comizi, dove c’è un politico che annuncia di voler lanciare un partito. Sa con quale nome?

No.

Forza Italia.

Non farà impazzire gli ex An, immagino.

Lo so, ma è un modo per ricordare che dobbiamo ritrovare lo spirito popolare del passato e trasmetterlo al Pdl. Del nome, confesso, non mi frega nulla.

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