Tutti colpevoli nessun colpevole?
Certo, l’oblio renderebbe tutti migliori, quantomeno più presentabili, perché qualche cazzata, nella vita, l’abbiamo fatta tutti, e in Italia sembrano disposti a riconoscerla perfino i permalosissimi politici. Quello che non funziona è l’ipocrisia del distacco dalla propria storia personale. Se il passato è incancellabile, è anche vero che prima o poi qualcuno ce lo ricorderà, e a quel punto la differenza la fa come lo si declina al presente. Pisapia, tanto per fare un nome, sembra molto turbato da se stesso, più che dalla Moratti. Forse perché la sua Opa politica su Milano era rivolta alla city, guardava nel campo che lui mai ha praticato in gioventù, quello dei borghesi moderati. Ecco il problema: Pisapia non ha rubato, ma ricordargli che frequentava estremisti gli rovina il prospetto di offerta pubblica di acquisto dei voti sulla concorrente, che invece gioca in casa. Ma che colpa ne ha la Moratti se Pisapia vuol mostrarsi diverso da com’era?
Uno, nessuno o centomila.
Ecco perché la provocazione del Fatto, che per difendere Pisapia imbarca in un passato oscuro e più o meno torbido l’intera classe dirigente del Pdl, finisce per diventare solo l’ennesimo esercizio autoconsolatorio, condito da un linguaggio inutilmente becero. Citare l’amicizia con uno del servizio d’ordine che negli anni Settanta avrebbe assistito allo “ spargimento di frammenti di materia cerebrale” di Sergio Ramelli, di cui si sarebbe vantato Giorgio Stracquadanio, o tirare in ballo l’avvocato Ghedini con suggestioni che lo riconducono in qualche modo alla strage di Bologna, serve solo a gettare acqua su un terreno di gioco fangoso per tutti, che può solo preludere a una conclusione: l’intera classe dirigente italiana, quella fiorita sulle ceneri degli anni di piombo e venuta su negli ultimi trent’anni, andrebbe invitata a ritirarsi, anche alla luce di un solo petardo fatto esplodere durante un corteo o un ceffone mollato all’università a un camerata o a un compagno. La strada indicata dal Fatto sembra essere quella del “siete tutti Pisapia”, dunque: o state zitti o proponete un ricambio generazionale con giovani immuni a qualsiasi contaminazione del passato, politicamente vergini: come a dire, fuori tutti, entrino le veline, gli acerbi cooptati, i talenti raccomandati senza arte né storia.
Il valore aggiunto della militanza
Sostenere che la militanza politica dell’attuale classe dirigente del paese, di destra e sinistra, fatta anche di mani sporcate, impegno personale, continguità, reati, sentenze (di matrice politica, s’intende) sia un valore aggiunto per chi non cerca di piegarla alle esigenze del momento, per chi scrive può essere imbarazzante. Perché nell’articolo del Fatto in cui si ricordano le disavventure politico-giudiziarie di tanti esponenti del centrodestra, è citato anche chi guida questo giornale e si corre il rischio di essere accusati di captatio nei confronti del direttore (un rischio che non correrebbe mai il giornalista del Fatto, per motivi personali di cui s’è tanto parlato). Allora, a scanso di equivoci, meglio parlare del campo avverso, quello della sinistra, dove un signore di nome Adriano Sofri s’è guadagnato i galloni di intellettuale autorevole dopo una sentenza definitiva che lo indica come mandante dell’omicidio Calabresi. Sofri, che scrive anche sul Foglio berlusconiano, idolatrato dall’intellighentia di sinistra ma apprezzato anche negli ambienti del centrodestra, è un intellettuale che teoricamente non dovrebbe neanche aprire bocca sui temi politici. Eppure, al di là di una sentenza più o meno condivisibile a suo carico, quel passato di militanza border-line lui non lo ha mai rinnegato, anzi, quel retroterra entra in tutti i pezzi di analisi e costituisce quasi una naturale sublimazione dei suoi ragionamenti.
Pisapia e il caso Alemanno
Ma è giusto parlare anche di un politico di destra, uno a caso, Gianni Alemanno, di cui il Fatto nel suo pezzo-calderone ricorda l’amicizia con Paolo di Nella (una vittima, non certo un carnefice!) e l’ostentazione della sua celtica al collo. Quando l’attuale sindaco di Roma ha vinto a sorpresa le elezioni a Roma, certo non si può dire che l’elettorato non conoscesse punto per punto ogni dettaglio, anche i meno cristallini, della sua storia personale. La militanza, le botte in strada, il blocco pacifista contro Bush, furono argomenti ampiamente utilizzati dal centrosinistra per provare a configurare un profilo vetero-fascista del candidato del centrodestra. Con il risultato di consegnargli le chiavi della città di Roma, perché Alemanno parlava di sè all’elettorato, senza infingimenti o bluff. Pisapia, invece, può vincere a Milano solo se ruba voti in un elettorato che lo conosce poco, ma che magari per protesta contro il traffico milanese decide di punire la Moratti. Un elettorato che però potrebbe cambiare nuovamente idea se informato, com’è accaduto, sulla storia personale del candidato di centrosinistra.
Il linguaggio della disinformazione
Il quotidiano diretto da Antonio Padellaro, che per la cronaca aveva rispolverato il passato di un parlamentare del Pdl colpevole di aver presentato un progetto di legge di riforma costituzionale, accusandolo di aver picchiato la moglie (con un evidente nesso di casualità, no?) sempre in quell’articolo sugli “estremisti di governo” ricorda a campione alcuni incidenti giudiziari e non di politici di centrodestra come La Russa, Cicchitto, Frattini, nel tentativo di difendere Pisapia con il teorema dell’erba un fascio. Ma la sintesi giornalistica e il narcisisimo del dettaglio trascendono nell’horror, in descrizioni da B-movie poco fondate sulla realtà. Almeno a giudicare dalla reazione di Giorgio Stracquadanio, che forse non ha tutti i torti lamentandosi della parte dell’articolo che lo riguarda: «È scritto che mi sono vantato di essere stato amico negli anni ’70 degli uomini dei servizi d’ordine che sprangavano il giovane missino Sergio Ramelli fino a spargere frammenti di materia cerebrale sul marciapiede. Non ho mai conosciuto quei criminali, nel 1975, anno dell’omicidio Ramelli, avevo 16 anni, frequentavo il liceo Berchet e le mie amicizie erano lontano anni luce dagli sprangatori che affollavano la sinistra extraparlamentare milanese». Ma intanto è lì, nero su bianco, quell’aneddoto raccapricciante, forse inventato, ma inutilmente grottesco, altro che l’attacco della Moratti a Pisapia di cui si lamenta Il Fatto.
Il teorema su Ghedini e Bologna
Anche nella ricostruzione della vicenda di Niccolò Ghedini, colpevole di essere l’avvocato di Berlusconi, il quotidiano di Padellaro si impegna nel tentativo di dipingerne un passato da estremista di destra. Il teorema è più o meno questo: lui era iscritto alla sezione del Fronte della Gioventù del Msi di Padova, il segretario di quella sezione nel ’76 era Roberto Rinani, sospettato di aver avuto un ruolo nella strage di Bologna dell’80. Chiamato a testimoniare, negli anni successivi, Ghedini disse di conoscere Rinani, ne descrisse il profilo eversivo ma dichiarò di non sapere che detenesse esplosivo. In questo caso, niente processo a suo carico, ovviamente, tantomeno amnestie e meno che mai successive assoluzioni. Solo quella roba lì. Quanto basta per descrivere Ghedini come uno dal passato torbido, per cose di trent’anni fa. Un “fatto”? No, una pippa mentale. Vatti a fidare dei giornalisti militanti degli anni Duemila.