Lega-Pdl, c’è l’intesa. “Pasticcio” del Pd, i pacifisti si sfilano

3 Mag 2011 19:57 - di

La fumata bianca arriva a metà mattinata, dopo il vertice di maggioranza presieduto dal premier Silvio Berlusconi: c’è l’accordo sulla mozione per la Libia, Pdl e Lega la voteranno insieme oggi, a ora di pranzo, alla Camera. Crisi di governo scongiurata, dunque, all’opposizione non resta che votare le proprie mozioni e a nulla servirà lo scambio di favori tra Terzo polo e Pd, che si approveranno reciprocamente i documenti, comunque entrambi a sostegno della missione. Anzi, l’effetto boomerang, per il Pd, è dietro l’angolo, con le sirene dipietriste a lusingare i pacifisti del partito Democratico sulla mozione che chiede la fine dei bombardamenti: un documento sul quale lo stesso Bersani potrebbe decidere di astenersi per evitare strappi, ma contraddicendo il senso della propria mozione.
Sereno, poco nuvoloso, invece, nella maggioranza: la “quadra” con i leghisti è stata trovata con la richiesta al governo di concordare con la Nato un termine ultimo per il completamento della missione, e in più, con il paletto sul “no” a un eventuale inasprimento fiscale per sostenere i costi della missione.
Il testo non è stato modificato, ma è stato aggiunto un settimo punto che riguarda la razionalizzazione delle missioni in corso. «La maggioranza ha ritrovato una piena intesa anche sulla politica estera», è stato il commento del capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, al termine del vertice che ha dato via libera alla mozione unica, sottoscritta anche dai Responsabili. Il testo Lega-Pdl-Ir impegna il governo, tra l’altro, a «fissare, in accordo con le organizzazioni internazionali ed i Paesi alleati, un termine temporale certo, da comunicare al Parlamento, entro cui concludere le azioni mirate contro specifici obiettivi militari selezionati sul territorio libico». In particolare, in relazione “al rischio concreto di nocumento anche alle popolazioni civili, di un incremento dei flussi migratori e di maggiori oneri per lo Stato italiano con conseguente incremento della pressione fiscale per i cittadini”, la mozione impegna il governo a «intraprendere immediatamente una decisa e forte azione politica sul piano internazionale finalizzata ad una soluzione, per via diplomatica, della crisi libica che ristabilisca condizioni di stabilità, pace e rispetto dei diritti umani ponendo fine alla fase militare e ai bombardamenti». Il testo vincola, poi, l’esecutivo a «escludere, per il futuro, qualunque nostra partecipazione ad azioni di terra sul suolo libico».
Ieri la Nato, sollecitata dai giornalisti, ha fatto sapere che che stabilire un calendario di fine operazioni è impossibile. «Dureranno fino a quando le forze di Gheddafi non smetteranno di attaccare la popolazione civile libica», ha detto l’ammiraglio Rinaldo Veri, responsabile delle attività navali. Ma in realtà, come ha lasciato intendere anche il ministro Frattini, esiste già una “road map” per la fine delle operazioni, gestita dall’Onu in vista di un cessate il fuoco e di un negoziato. Sarà infatti questo il tema centrale della riunione del Gruppo di contatto sulla Libia in programma alla Farnesina il 5 maggio, assieme ad altri due punti chiave: la fornitura di «strumenti per l’autodifesa» al Consiglio nazionale di transizione (Cnt) di Bengasi e di aiuti umanitari alla popolazione stremata. Ma anche e soprattutto di fondi, perchè, è l’appello lanciato ieri dagli insorti che chiedono a Italia, Francia e Usa un prestito da 3 miliardi di dollari, la loro economia rischia la bancarotta se non si interverrà tempestivamente. Un percorso, la “road map”, che diventa di fatto obbligato ora che è chiaro, osserva il ministro Frattini, che «il regime di Gheddafi non è stato travolto con la rapidità che tutti pensavano» e sul quale pesa – comunque – il dibattito in Parlamento sulla mozione della Lega e del Pdl. «C’é molto più di un piano per mettere fine alla crisi libica», ha assicurato Frattini, che non teme dunque alcun effetto boomerang dalla mozione di maggioranza.
Ma tutto questo non basta al Pd che, naturalmente, ha subito aperto una dura polemica con il governo e la maggioranza, parlando di «pasticcio umiliante». «Che trovassero la quadra – ha detto Bersani –  non c’erano dubbi» ma la soluzione trovata è la «prova evidente di un governo che cerca di rabberciarsi a ogni passo facendo venire meno la credibilità del Paese». Senti chi parla. Bersani ha a sua volta i suoi pasticci interni con i quali fare i conti, per esempio con una fronda nel suo stesso partito, quella dei pacifisti: undici parlamentari, tra deputati e senatori del gruppo del Partito democratico, hanno deciso di votare contro la mozione del governo sulla Libia ma di non votare neanche le altre mozioni, compresa quella del Pd. La vera tentazione, però, è quella di votare con Di Pietro, una posizione che potrebbe provocare anche un effetto-domino nel partito. A sottoscrivere l’iniziativa, che unisce sinistra del partito e area cattolica, sono stati i deputati Luisa Bossa, Enrico Gasbarra, Tommaso Ginoble, Gero Grassi, Sabina Rossa e Marilena Samperi, e i senatori Silvana Amati, Roberto Di Giovan Paolo, Manuela Granaiola, Paolo Nerozzi e Vincenzo Vita. «Nel rispetto, quindi, di tutte le posizioni le nostre convinzioni personali ci impediscono di condividere l’uso della forza e le azioni belliche. Ringraziamo il Pd per averci garantito libertà di voto. Annunciamo – concludono gli undici – il voto contrario alla mozione del governo ed il non sostegno alle altre mozioni». Dunque, nella confusione politica in cui versa, il Pd dirà sì ai bombardamenti, votando la propria mozione e quella del Terzo polo, ma potrebbe anche astenersi su quella dell’Idv, che chiede la fine della missione. E meno male che Di Pietro parla di “sceneggiata” del governo. Di pantomima parla anche il Terzo polo, che annuncia di votare la propria mozione di sostegno “senza ambiguità agli impegni della comunità internazionale” e, in questo quadro, “manifesta la propria disponibilità a votare anche quella del Pd”.
Ieri, intanto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha fatto sapere che l’Italia ha intenzione di ridurre progressivamente il suo impegno nelle missioni, «con l’accordo delle organizzazioni internazionali, quindi mai unilateralmente». Del resto, ha spiegato il ministro, si sa già che ci sarà una riduzione della presenza italiana «in Afghanistan dal 2012 e in Libano dove vogliamo che gli spagnoli abbiano più soldati di noi visto che hanno il comando e anche in Kosovo è prevista una graduale riduzione sino a zero nei prossimi mesi».

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