La crisi è sempre colpa di un altro
Fiat sta seriamente pensando di uscire da Confindustria. Non subito, ma lo farà. Oggi la Marcegaglia torna a chiedere al governo di darsi da fare per la crescita, o meglio per mettere le industrie in condizione di crescere. Ma le industrie in questi anni, e Confindustria in particolare, cosa hanno fatto per crescere? È sufficiente chiedere al governo e quindi aspettare che arrivi qualcosa dall’alto? Pur con i suoi problemi di competitivitá in Italia, dove le immatricolazioni sono in calo mese dopo mese, la Fiat qualcosa ha fatto senza aspettare che il governo facesse qualcosa per lei. Ha fatto accordi separati negli stabilimenti italiani per essere competitiva, ha faticato a raggiungerli, ma alla fine i sindacati hanno capito. Questa è un’industria che sa competere, che si confronta sul mercato, che va all’estero e investe. E che, notizia di oggi, crede che restare dentro Confindustria non abbia più molto senso. Non è la prima volta che si parla di uno scenario del genere, ma in passato l’uscita di Fiat da Confindustria era legata agli accordi contrattuali che non aveva ancora raggiunto e alla possibilitá, quindi, di derogare agli accordi nazionali sul contratto dei metalmeccanici.
Oggi, che ha realizzato questi obiettivi con i referendum di Pomigliano e Mirafiori, dinanzi alle vertenze avviate dalla Fiom in tutte le sedi per contestare le intese nelle newco e addirittura il contratto dei metalmeccanici del 2009 (che la Cgil non ha firmato e sul quale la magistratura si è già pronunciata a favore del sindacato ricorrente), il Lingotto ha oggi l’esigenza di tenersi le mani libere per potersi difendere meglio. Quindi sottrarre il comparto auto ai vincoli del contratto nazionale dei metalmeccanici.
Non bisogna dimenticare che dieci anni fa i distretti industriali del Nordest sono nati e si sono sviluppati dando loro le risposte che dallo Stato non riuscivano ad avere. Si sono organizzate e sono andate all’estero non solo per delocalizzare la produzione ma per cercare nuovi mercati. La globalizzazione ha mandato un po’ in crisi quel modello, ma resta il fatto che non si può continuare a chiedere al governo di ridurre le tasse sulle imprese per renderle competitive. La competitività non è solo una questione di costi, ma di idee e capacità imprenditoriali, di voglia di rischiare, di confrontarsi con il mercato. Le banche sono piene di liquidità destinata alle imprese che vogliono crescere. Quindi le risorse non mancano. L’Italia è, purtroppo, solo un piccolo tassello del mercato globalizzato con cui la Marcegaglia e Confindustria si devono confrontare. Il governo deve sostenerle, questo sì, ma con una politica industriale, realizzando infrastrutture (ha ragione in questo la Marcegaglia, ma non dice certo qualcosa di originale) non assicurando sussidi, agevolazioni fiscali e quant’altro. Il tempo delle richieste e dei ricatti («siamo pronti a sostenere le nostre ragioni anche fuori dalle fabbriche» dichiara Marcegaglia) è finito.