E se adesso tornassimo ad avere un partito?
Il partito liquido, il partito solido, le primarie, il leader carismatico, la democratizzazione, il radicamento, la classe dirigente, il nome vecchio e quello nuovo: amministrative, punto e a capo, ora si apre la discussione. Che in verità già serpeggiava dopo un non brillantissimo (diciamo così) primo turno. La possibilità sempre aperta di un colpo di reni e l’idea del miracolo dell’ultim’ora tenevano tuttavia tutti a freno in attesa dell’esito dei ballottaggi. Poi il miracolo, però, non c’è stato. E già questo è un dato politico. Nessuna ironia, beninteso: per molti anni e per svariate elezioni l’intervento risolutore di Berlusconi, anche in extremis e in condizioni apparentemente disperate, si è fatto sentire eccome. E allora sì, il partito poteva effettivamente essere “soft”, costruito come un comitato elettorale attorno al premier. Finché le elezioni si vincono, il comitato elettorale ha un senso. Quando si perdono, forse una riflessione è d’obbligo. E di riflessioni, come abbiamo detto, se ne stanno facendo in abbondanza. «Sul partito ci saranno novità» oggi, dopo l’ufficio di presidenza, ha detto Berlusconi. «Ho idee molto chiare – ha aggiunto – non voglio scontentare nessuno, credo che adesso bisogna stare tutti uniti, ma dobbiamo tornare ad avere una presenza sul territorio come era nel ‘94». Eppure la svolta non sembra imminente. Lo statuto, infatti, richiede la convocazione di un congresso per modificare gli assetti del partito. Qualcuno ipotizza una soluzione di compromesso che vedrebbe Alfano al posto di Bondi, con un ruolo di “primus inter pares”, con il compito di dare la linea politica, mentre a Verdini sarebbe lasciata la macchina organizzativa e a La Russa la propaganda. Per ora si tratta di mere ipotesi visto che il ministro della Giustizia sarebbe poco propenso ad accettare un ruolo diverso da quello di coordinatore unico. Ha aggirato la questione come non essenziale, tuttavia, uno dei tre attuali coordinatori del partito, ovvero Ignazio la Russa, che ha dichiarato: «Il problema non è se c’è un coordinatore, tre o cinque, se c’è un direttorio di coordinatori o altro. Il problema è che la gente vuole le riforme, che bisogna farle con il contributo di tutti: governo, partito, capigruppo». E ancora, tornando sulla questione: «Ritengo perlomeno curiosa la spiegazione, che ho letto su qualche giornale, secondo la quale la gente non ci avrebbe votato a causa dei tre coordinatori, dei problemi di organizzazione e così via. Se pensate che queste siano le cause siete fuori strada. Quello che i cittadini vogliono sono le riforme, le risposte concrete. Poi dare queste risposte contribuisce il governo, i ministri, il presidente del Consiglio e così via. Se qualcuno si illude che basta cambiare un nome o ridurre questo o quello vuol dire che si prende in giro da solo». L’idea, invece, non dispiace al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni: «Alfano – ha detto – gode di tutta la mia stima: se Berlusconi decidesse di nominarlo coordinatore unico del partito, mi troverebbe d’accordo». Il governatore lombardo si è detto anche sostenitore dell’altra ipotesi di rilancio uscita fuori in queste ore, quella delle primarie. L’idea è stata lanciata ieri da Giuliano Ferrara, che sul Foglio ha pubblicato addirittura un possibile regolamento per le consultazioni interne al partito, da svolgersi, secondo il giornalista, entro ottobre. «Sono d’accordo con Ferrara – ha detto Formigoni – Berlusconi si è conquistato la leadership sul campo, è bene che tutti si sottopongano alle primarie per avere un legame con il nostro popolo». Ma è un’idea che, invece, non appassiona il sindaco di Roma Gianni Alemanno, per il quale «è inutile che ognuno dia la sua ricetta. Il primo che deve parlare adesso è Silvio Berlusconi, anche per evitare quei protagonismi e quei personalismi che in questi momenti escono fuori». Quel che è certo, per il primo cittadino della capitale, è che il Pdl deve ripartire «da un vero congresso nazionale, che riaggreghi tutte le forze che si sono separate dal partito in questi anni. Dobbiamo fare in modo che ci sia una nuova fase politica e affrontare il problema del futuro del centrodestra con serenità e consapevolezza. Il tema preliminare è una profonda riaggregazione intorno al Pdl, dal momento che in questi anni molte schegge, molti pezzi, si sono distaccati (questo vale in un certo senso anche per la Lista Polverini)». Anche Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ha affermato di ritenere che «nel centro-destra, fermo il quadro politico derivante dalle positive dichiarazioni fatte da Berlusconi e da Maroni e Calderoli, deve aprirsi un dibattito serio, senza scorciatoie di alcun tipo». Cicchitto ha sollecitato anche un «dibattito approfondito» nel partito, un ritorno a toni e linguaggi propri dei moderati e una riflessione sulle primarie. «In primo luogo – ha detto – il massimo sforzo va concentrato per definire il programma e la concreta attività del governo di qui ai prossimi due anni. Su questo nodo si giocherà la partita decisiva del consenso politico e sociale degli elettori e quindi la definizione di esso dovrà essere il frutto di un lavoro collegiale. In secondo luogo il linguaggio e l’impostazione politica del Pdl devono essere coerenti con la natura moderata-riformista di un partito che è parte organica del Ppe». Nel contempo, per il capogruppo a Montecitorio, «bisognerà aprire un dibattito approfondito sul partito per renderlo più radicato sul territorio e per far sì che a tutti i livelli sia caratterizzato da una vita democratica secondo regole precise. A proposito delle elezioni locali una prima cosa va detta anche in termini apertamente autocritici: mai più candidati-sindaci calati dall’alto, magari in contrapposizione con le nostre organizzazioni locali, come in qualche caso è avvenuto perchè ciò vuol dire cercarsi la sconfitta. In questo quadro va esaminata l’ipotesi di primarie». Anche il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli, ha indicato la necessità di «democratizzare il partito, attraverso congressi comunali e provinciali, come è già stato deliberato». Daniele Capezzone, portavoce Pdl, non perde invece occasione per polemizzare con la sinistra: «La nostra reazione al voto – ha detto – è stata umile, consapevole, seria. A me pare, invece, che da troppe parti gli organizzatori delle feste neghino i propri problemi, che pure esistono, e non sono irrilevanti. Bersani finge di non vedere l’opa che Di Pietro e Vendola hanno lanciato sul Pd; il terzo polo finge di non vedere il magro, magrissimo risultato elettorale che ha portato a casa; e gli uni e gli altri (Pd e terzo polo) fingono di non sapere che le attuali opposizioni non sono in grado di esprimere una credibile prospettiva di governo, ma solo un’armata Brancaleone senza progetto. In sintesi: noi abbiamo certamente i problemi più gravi, ma non li neghiamo e li affrontiamo. Gli altri stanno cercando di negare e nascondere i messaggi che il voto ha indirizzato anche a loro». Intanto ieri Vittorio Feltri, su Libero, invitava il Cavaliere a “tornare a fare il Berlusconi”. L’impressione, tuttavia, è che stavolta potrebbe non bastare.