Galli della Loggia: sì, diventiamo “crociati” contro la follia jihadista

20 Mar 2015 11:01 - di Francesco Severini

Non è la prima volta che Ernesto Galli della Loggia dice con chiarezza che l’Occidente è troppo “timido” dinanzi all’avanzata minacciosa dell’islam radicale, come ripete anche nel suo editoriale di oggi sul Corriere della Sera. Dopo la strage contro i redattori di  Charlie Hebdo lo storico editorialista sottolineò che l’Occidente e in particolare l’Italia non avevano più dimestichezza con il concetto di “guerra” e ciò comportava il non sapere riconoscere il nemico e il non saperlo fronteggiare adeguatamente.

La guerra rimossa e le fobie dell’Occidente

Oggi Galli della Loggia, all’indomani della strage di Tunisi, ritorna sullo stesso argomento della guerra rimossa e osserva che l’Europa è chiamata dall’accelerazione della storia a una svolta decisiva, a diventare un vero soggetto politico con una vera politica estera. La politica deve però prepararsi all’impiego della forza contro la degenerazione jihadista dell’islamismo radicale. Altro passo che ritiene indispensabile è far capire con chiarezza a Arabia Saudita, Qatar e qualche altra monarchia del Golfo “che il loro doppio gioco non può continuare a lungo: che esse non possono con una mano fare lauti affari con l’Occidente, e con l’altra finanziare chi uccide a sangue freddo i suoi cittadini”.

Per Galli della Loggia il termine “crociati” non va respinto del tutto

Ma il punto più interessante dell’articolo è quello in cui Galli della Loggia parla del termine “crociato” che ci viene affibbiato dai fanatici dell’Isis a noi italiani e occidentali nello stesso tempo. Un uso ridicolo di un termine che certo non si addice a popolazioni per lo più scristianizzate e religiosamente incerte ma che ci interpella lo stesso. “Naturalmente – scrive – noi non siamo crociati né ci sogniamo di esserlo. Ma se per i nostri nemici lo siamo per il solo fatto di abitare questa parte del mondo, di aver dato vita a questa nostra civiltà. Ebbene, allora dovremmo forse avere il coraggio di ammettere che quel termine comunque ci interpella. Che esso evoca una Croce da cui ci è impossibile dissociarci dal momento che essa è consustanziale alla nostra storia, a ciò che siamo e a ciò in cui crediamo”. Se “ci si vuole ammazzare per colpa di una Croce, allora non serve far finta di niente. Allora è bene che i nostri nemici sappiano che in questo modo quella Croce diviene un semplice simbolo di libertà“. Un simbolo, vuole dire l’editorialista, che anche i laici  dovrebbero innalzare.

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