15 anni fa moriva Autant Lara, il regista più odiato dalle sinistre

5 Mar 2015 19:08 - di Antonio Pannullo
Brigitte Bardot in "La ragazza del peccato"

Quindici anni fa moriva ad Antibes all’età di 97 anni il regista probabilmente più odiato di tutti: Claude Autant Lara, cineasta controcorrente ed esponente dell’avanguardia culturale francese. I suoi funerali si svolsero privatamente al cimitero di Pere Lachaise di Parigi, con la polemica assenza dei membri dell’Académie française, che intendevano protestare per la recente presa di posizione di Autant Lara con il Front National di Jean-Marie Le Pen, per il quale era diventato eurodeputato. Addirittura, nel giugno del 1989, in quanto deputato più anziano, fu chiamato a presiedere la seduta inaugurale. Fece un lungo discorso profondamente sciovinista e antiamericano, tanto che molti eurodeputati abbandonarono l’aula per protesta. Pochi mesi dopo, in seguito a sue dichiarazioni antisemite fu costretto a rassegnare le dimissioni. Ecco che tipo di personaggio era Autant Lara, il tipo che se si sentiva odiato, subito dava un altro motivo di risentimento ai suoi nemici. Personaggio complesso, difficile, indecifrabile, chi lo conosce bene è lo scrittore ed esperto di cinema Maurizio Cabona, che su di lui ha scritto anche un libro, Il caso Autant Lara (Asefi-Terziaria, Milano 2001, con Alan Altieri, Michel Marmin, Aldo Tassone). Ma qual era questo “caso”? «Il caso – dice Cabona – deriva dal fatto che un regista caro alla sinistra negli anni del dopoguerra, per i suoi film pacifisti e antimilitaristi, come Il diavolo in corpo, verso gli ottant’anni diventa sostenitore del Front National ed eurodeputato. E questa era una cosa che la sinistra non poteva perdonare». Ma come mai si alienò tutte le simpatie? «Lui era di un’ottima famiglia, il padre architetto famoso e la madre attrice di teatro (infatti prese entrambi cognomi, Autant dal padre e Lara dalla madre), ma aveva il pregio – o il difetto – di mettere in piazza tutto, non si tratteneva nei suoi discorsi e nei suoi scritti su quello che secondo lui non funzionava, nel mondo del cinema come altrove, e questo ovviamente, in un ambiente dominato dall’omertà e dal denaro, non poteva farlo riuscire simpatico. Ma era comunque un grande regista: il suo periodo clou lo ebbe negli anni dell’occupazione tedesca, ma non perché avesse simpatie naziste, ma solo perché, insieme ad altri, anziché trasferirsi a Hollywood lui preferì rimanere in Francia a fare il cinema. E conobbe così quella straordinaria stagione che si svolse tra Cannes e Nizza».

“Il diavolo in corpo” è il capolavoro di Autant Lara

All’inizio degli anni Trenta comunque aveva soggiornato in California, che si stava affermando come patria della cinematografia mondiale, dove apprese i meccanismi che regolano il mondo del cinema statunitense. Ma quali sono i suoi film memorabili? Cabona non ha dubbi: «Il diavolo in corpo, con Gerarde Philipe e Micheline Presle, del 1947, che fu presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia di quell’anno, e che, nel 1949, fu inserito nella lista dei migliori dieci film dell’anno dal National Board of Review of Motion Pictures. Poi il famosissimo La Ragazza del peccato, del 1958, tratto dal romanzo di Georges Simenon e interpretato da Brigitte Bardot che ebbe per la prima volta un ruolo drammatico oltre che – naturalmente – erotico. Famosa la scena in cui lei si alza la gonna che in Italia fu ovviamente censurata grazie alle attenzioni del Vaticano, che non aveva perso la sua influenza sul controllo del cinema. Molto bello è anche La traversata di Parigi, del 1956, ambientata nella Parigi occupata dai tedeschi, e basato su un racconto di Marcel Aymé, scrittore che aveva collaborato anche a Je suis partout, il giornale di Maurras e Brasillach». Autant Lara aveva anche iniziato una collaborazione con la Rai, per la quale avrebbe dovuto dirigere La Certosa di Parma (era un appassionato di Stendhal), che poi venne bloccata per ragioni di produzione. Ma alla fine, chi era Autant Lara? Per Cabona «era un artista anarco-pacifista, essenzialmente libero, emarginato; la sinistra come la destra non sentirono mai loro perché non si capiva che pesce fosse. Ma lui era soprattutto un cineasta che si batteva per la sopravvivenza del cinema francese. Anche in questa prospettiva va interpretato il suo acceso antiamericanismo e il suo orrore per la morale piccolo-borghese che, ripeto, non fu mai di natura ideologica ma semplicemente professionale, così come le sue sortite antisemite, che si riferivano all’ambiente del cinema americano, più che a razzismo vero  esproprio. Di certo è che era un bastian contrario, di temperamento acre; probabilmente con l’età e l’ostilità questo suo aspetto sgradevole peggiorò: insomma, più l’odiavano più faceva di tutto per farsi odiare». Ci ha lasciato questa definizione del capitalismo: il demone-profitto.

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