Monti fa Babbo Natale. Ma i pacchi sono semivuoti

11 Mag 2012 21:14 - di

La crisi morde come un pitbull inferocito, cresce la rabbia sociale, c’è il rischio del ritorno delle ali estreme, in pochi mesi si è caduti prima nella rassegnazione e poi nel pessimismo. Il rigor Montis ha già avuto ripercussioni pesantissime. Il premier crolla nei sondaggi, è travolto dalle critiche e cerca di uscirne con un Consiglio dei ministri presentato come “storico”, da cui esce elencando una serie infinita di numeri, tot milioni ai giovani, tot milioni a chi ne ha bisogno. Un Babbo Natale in versione primaverile. Nella slitta i pacchi sembrano molto ma molto grossi, ma quando li si apre e li si distribuisce, si capisce che è poco più di un contentino che non risolve i problemi di chi si è visto cadere addosso un mare di tasse e di aumenti. Eppure gli Sos arrivano dappertutto: «Questa crisi è come una guerra mondiale, coinvolge non solo i popoli, ma le singole persone», ha avvertito il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe. Ed è all’interno delle mura domestiche che si vivono i drammi maggiori e si fanno i conti con il lavoro che non c’è.

Cifre da incubo
Dal 2008 al 2010 – fa sapere Bankitalia – i nuclei familiari in povertà sono cresciuti dal 6 al 7 per cento del totale. «Ma per i giovani – dice il vicedirettore generale Anna Maria Tarantola – si è passati dal 10 al 15 per cento». Per i pensionati, poi, è andata anche peggio. Con la crisi, in molti casi, ci hanno rimesso anche la dignità. Sono il 20 per cento, secondo la Cgil, gli anziani a rischio povertà ed esclusione sociale. Un dato più o meno in linea con l’Europa, ma che ci vede arrancare dietro l’Olanda (6 per cento); la Francia (12); la Germania (14); la Slovacchia (16) e la Danimarca (18).

Monti si sveglia dal torpore

Giovani, anziani, malati. Sono sempre di più gli anziani con pensioni minime, che non ce la fanno a curarsi e per tutelare la propria salute si rivolgono a strutture per categorie indigenti dove viene fornita assistenza sanitaria gratuita. Un dato allarmante, anche perché – secondo la Cgil – in Italia l’84 per cento del valore della pensione è assorbito dal costo della vita. E il 16 per cento è un valore troppo basso per poter fare tutto il resto. Con la riforma delle pensioni hanno sottratto reddito agli anziani e con le manovre successive e le tasse hanno spostato una parte di reddito dai bilanci familiari al fisco. La novità arriva con la riprogrammazione dei fondi europei per 2,3 miliardi di euro alle aree di fragilità del Paese: le regioni del Sud. Un piano pomposamente definito «di azione e coesione», o se preferite «anti-povertà», che è approdato in Consiglio dei ministri e ne ha ottenuto la benedizione. Dentro servizi alle persone non autosufficienti (anziani, malati, disabili) alla cura dell’infanzia, alla dispersione scolastica. Circa 900 milioni, poi, sono destinati alla competitività e alle imprese giovani. Anche la cultura è argomento del piano d’intervento del governo.

Otto milioni di poveri

Nel nostro Paese – secondo l’Istat – sono più di otto milioni le persone che  vivono in condizioni di povertà relativa (14% della popolazione, ma a Sud si raggiungono punte del 23%), mentre la povertà assoluta interessa 3,1 milioni di italiani (4,6% delle famiglie a livello nazionale e 6,7 nel Mezzogiorno, con la Basilicata dove risulta povero quasi un nucleo familiare su tre). In questa situazione è facile per Monti affermare che «le fragilità crescono  quando le risorse mancano». Ma le risorse ai singoli mancano anche perché lo Stato ha deciso di fare la parte del leone: non restituisce i crediti Iva e non paga le imprese che hanno effettuato servizi per la pubblica amministrazione e, attraverso Equitalia, si serve di metodi feroci per riscuote quello che gli è dovuto. E nega le compensazioni.

Equità cercasi
Il rigore era forse necessario, come ha ribadito Monti, ma forse sarebbe stato più produttivo se non fosse stato esercitato a senso unico. E le misure varate sono ancora poco per poter parlare di quel «respiro sociale e civile» che il premier ha definito necessario anche in momenti di ristrettezze. «Da oggi provvedimenti per la crescita con equità», ha detto pomposamente in conferenza stampa. Ma è sembrato chiudere la porta ai miracoli quando ha invitato anche la Ue a muoversi in questa direzione. Perché la fase 2, a lungo attesa e che ieri avrebbe avuto finalmente il via, sembra cambiare solo l’ordine dei fattori e c’è il rischio che il prodotto alla fine non cambi. Si «spostano fondi (2,3 miliardi) sottoutlizzati o allocati su interventi inefficaci e ormai obsoleti, di programmi operativi nazionali o programmi operativi interregionali e quindi gestiti alle amministrazioni centrali dello Stato» verso altra destinazione, per il Sud. Produrranno effetti? Si spera di sì. 845 milioni sono destinati a obiettivi di inclusione sociale: cura dell’infanzia (400), cura degli anziani non auto-sufficienti (330,integrazione della politica dell’istruzione contro la dispersione scolastica con azioni per la legalità nel territorio (77), progetti promossi da giovani del privato sociale (38).

Priorità giovani
Gli altri interventi (per 1.498 milioni) sono rivolti alla crescita attraverso, fra l’altro, iniziative per i giovani, interventi per promuovere lo sviluppo delle imprese e la ricerca, promozione dell’innovazione dal lato della domanda attraverso bandi pre-commerciali, valorizzazione di aree di attrazione culturale e riduzione dei tempi della giustizia. La priorità giovani diventa anche una priorità del governo. E come non concordare. Se le «maggiori cure per l’infanzia e gli anziani» significano aiuti alle famiglie con particolari situazioni a carico, le nuove opportunità per i giovani potrebbero rappresentare una valvola di sfogo per chi  ha terminato la scuola, cerca un lavoro e non lo trova. Ma 220 milioni devoluti a questa necessità sono semplice acqua fresca.

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