«Il merito non s’impone per legge»

9 Apr 2012 20:43 - di

Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, in particolare, l’hanno scontata con sospetti, accuse, proteste. La “rivoluzione del merito” piace a tutti a parole, ma quando poi qualcuno prova a realizzarla si scontra sempre con resistenze enormi. Ora a provarci è il governo Monti. Almeno così dicono le indiscrezioni, secondo le quali ci sarebbero pronte le linee guida di un disegno di legge sul merito da portare in Parlamento entro l’estate. Il sottosegretario alla presidente del Consiglio Antonio Catricalà le avrebbe anche già illustrate al Consiglio dei ministri. Ma resta una domanda di fondo: il merito si può imporre per legge? Ed è proprio l’esperienza del governo Berlusconi a renderla necessaria. Da parte di “baroni” o sindacati che fossero, quelle norme tese a sradicare nepotismo e clientelismo e a creare meccanismi di premialità per i migliori non furono accolte esattamente con scene di giubilo. Suscitarono allarmi, sollevazioni e rimedi d’emergenza come quello che si registrò nel mondo dell’università: a legge varata, ma in attesa delle direttive operative, fu un fiorire di concorsi e assegnazione di incarichi. Fu, però, anche un’occasione di denuncia di questo «malcostume». Stefano Zecchi fu fra le voci che avvertirono su quanto fossero radicate certe abitudini. «Il clientelismo, il nepotismo appartengono a una cultura radicatissima, a un malcostume con una visione atavica, quella del “tengo famiglia”, che finisce per diventare l’occasione, l’opportunità, la convinzione che ci di debba comportare così, anche perché si pensa che “se non lo faccio io lo fa quell’altro”», spiega oggi il professore di Estetica, che di fronte all’ipotesi di una nuova legge per il merito, dice: «È un segnale culturale, poi magari qualcosa può anche essere ottenuto, ma il contrasto a questi fenomeni è un fatto di formazione, di mentalità, di cultura».

Professore, sembra di capire che secondo lei il merito non si può imporre per legge…

Imporre no, una legge non cambia una cultura così radicata, ma può rappresentare un’opportunità per dare un po’ a tutti la sensazione che si voglia modificare una tendenza. Da un punto di vista oggettivo la legge non può molto, ma da un punto di vista soggettivo dà l’idea che si voglia cambiare rotta.

Questa idea può attecchire? Ai tempi della riforma Gelmini lei puntò l’indice contro i concorsi “ad personam” delle università italiane, scrivendo che «le responsabilità più gravi cadono sui rettori». E questo quando la riforma era già sul tavolo…

La riforma Gelmini evita che esistano nella stessa facoltà docenti imparentati tra loro. Già questo dà la misura del degrado, perché il fatto che uno non possa insegnare perché suo padre insegna è un’enormità, che però fa riferimento al malcostume diffuso. Ora, questo malcostume si combatte con l’etica professionale, dovrebbe essere estirpato dalla soggettività dei singoli. Cosa vuole, è come buttare i mozziconi per strada: ci può essere una legge che lo proibisce, ma tu hai mille opportunità per buttare i mozziconi per strada e se non capisci che quella strada è di tutti continuerai a farlo.

Ma un modo per far capire che “la strada è di tutti” dovrà pur esserci.

Ci si può muovere sulla base del rigore, ma comunque c’è poco da fare. Ricorda la polemica sulla figlia della Fornero?

E sul figlio di Monti e sul sottosegretario Michel Martone, a sua volta “figlio di”…

Si parla di curriculum eccellenti, ma sa quanti curriculum eccellenti conosco di persone che poi hanno fatto i tassiti o che sono disoccupate? È una mentalità.

A questo punto la domanda è d’obbligo: questo governo ha la credibilità per proporre una legge del genere?

Bisognerebbe chiedersi quale governo la abbia. Oggi la politica è in discredito e mi chiedo quale governo politico avrebbe il consenso per fare una cosa del genere. Un cambiamento così nasce dall’educazione, familiare e scolastica. È lì che bisogna intervenire, sostenendo questo cambio di mentalità.

E qui torniamo alla riforma Gelmini: il fatto che abbia immaginato una scuola basata sui principi della meritocrazia può incidere nel cambio di mentalità?

Che il merito diventi qualcosa di realizzabile è da vedere, ma quella riforma ha preso il tema è l’ha posto all’attenzione, ha detto che esiste un problema. Quando si vede una malattia si può trovare una cura. Se ne prova una, poi se non funziona se ne prova un’altra un po’ più radicale, ma io ho trovato positivo che si sia capito il problema. Allora va bene, ora facciano questa legge e poi vediamo come la attuano. Certo, molta della sua efficacia dipenderà da chi saranno i controllori: saranno quelli che fino all’altro ieri si rimboccavano le maniche per la clientela e il nepotismo? Secondo me, a livello normativo, questo diventa il vero problema.

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