Così la Chiesa salvò i perseguitati della vendetta rossa

5 Mar 2012 19:45 - di

È passata alla storia con il nome di “Operazione Odessa”, anche se non ha nulla a che fare con la città alle foci del Dnepr. “Odessa” è soltanto una sigla in tedesco e sta per “Organisation Der Ehemahlige SS Angehörigen” (Organizzazione degli antichi membri delle SS). Secondo una vulgata largamente diffusa, l’organizzazione, il cui nome fu inventato a posteriori, riuscì a porre in salvo alcune migliaia di criminali nazisti, facilitando la loro fuga dall’Europa all’Argentina attraverso il porto di Genova e con la complicità della Curia, e in particolare del giovane vescovo monsignor Giuseppe Siri, futuro cardinale e arcivescovo della capitale ligure.
Dopo una serie di libri tendenti a colpevolizzare la Chiesa, arriva ora una ricerca storica che inquadra in maniera molto precisa quel lontano evento. S’intitola Odessa: la vera storia e la leggenda nera (Novantico editrice) e ne sono autori due storici non per nulla genovesi: Sergio Pessot e Piero Vassallo. I quali non negano affatto che la struttura messa in piedi dalla Curia genovese abbia contribuito a far emigrare clandestinamente ufficiali tedeschi delle Ss e francesi di Pétain, ed esponenti fascisti della sconfitta Rsi, e, anzi, a questi aggiungono non pochi «ustascia» croati, «domobranzi» sloveni, combattenti antisovietici ucraini, lituani, estoni e lettoni. Mai però criminali. In altre parole, perdenti sì, sconfitti sì, ma solo combattenti e la cui vita era fortemente a rischio per le vendette comuniste. Con questo documentato lavoro, Pessot (appassionato all’argomento fin dai suoi anni giovanili nella lontana Argentina) e Vassallo (apprezzato storico di matrice cattolico-tradizionalista e già docente al Seminario arcivescovile di Genova all’epoca di Siri) inquadrano definitivamente quei lontani avvenimenti. Sì, la Chiesa aiutò quei disperati, ma lo fece per due ragioni ben precise: prima di tutto, per coerenza con la carità cristiana che impone di aiutare chi sia ingiustamente perseguitato; in secondo luogo, per precisi accordi stipulati con William Donovan, direttore centrale dell’Oss (Office of Special Operations), ovvero il controspionaggio americano da cui deriverà la Cia (Central Intelligence Agency). In proposito, gli autori raccontano come, già dal 1943, don Stefan Draganovic, sacerdote croato operativo in Vaticano, collaborasse segretamente con Donovan. Obiettivo comune: porre un freno all’espansione comunista.
Pessot e Vassallo narrano che nell’ottobre 1944, quando già si profilava la sconfitta tedesca, l’esponente politico genovese Pino Rolandino (nel dopoguerra sarà uno dei fondatori del Msi), dopo avere incontrato in Baviera il generale Karl Wolff (il comandante delle Ss in Italia che stava trattando segretamente con gli americani quella che sarà poi la resa di Caserta), tornò a Genova e propose al vescovo ausiliare Giuseppe Siri di predisporre una via di fuga verso il Sud America per gli sconfitti. Siri sarà poi  colui che, a Villa Migone, il 24 aprile 1945, sovrintenderà alla resa del generale Meinhold e di tutte le formazioni tedesche della Liguria e del Basso Piemonte ai componenti del Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) di Genova: l’unico caso, in tutta Italia, di conclamata vittoria delle forze partigiane sulla Wehrmacht. Ottenuta, tra l’altro, senza spargimento di sangue, e per di più con il salvataggio del porto di Genova anche grazie all’opera della Decima Mas, i cui incursori provvidero a sminare le banchine, impedendo così ai fedelissimi di Hitler di trasformarle in un cumulo di macerie.
L’accordo con Wolff fu rispettato. A Rolandino furono messi a disposizione il Collegio di Rapallo, la chiesa di Santa Maria delle Grazie e un convento dove alloggiare i fuggiaschi in attesa di essere imbarcati sulle navi degli armatori cattolici Costa e Bibolini.
Quanto al tacito consenso degli americani, va ricordato il famoso rapporto del generale George Patton sulla necessità di contrastare l’espansione sovietica in Europa arruolando, all’occorrenza, anche gli ex nemici tedeschi. Un anticomunismo, quello di Patton e di tutti gli americani, che in ogni caso non contemplava l’indulgenza nei confronti dei criminali di guerra. Al processo di Norimberga, infatti, i giudici e i pubblici ministeri americani furono intransigenti quanto i loro colleghi sovietici.
Tornando alla posizione della Chiesa, non si può dimenticare che, durante l’occupazione tedesca di Roma, le porte dei conventi cattolici, del Vaticano e persino di Castelgandolfo si aprirono per dare asilo sia agli ebrei ingiustamente perseguitati, sia ai comunisti ricercati a causa delle loro attività rivoluzionarie. Ovviamente, l’assistenza cattolica ai comunisti non era certo prestata in ragione della bontà delle idee  professate dai rifugiati, ma dalla sproporzionata ferocia  con cui il potere nazista inquisiva, giudicava e puniva i suoi avversari. Analoghe ragioni suggerirono e sollecitarono l’assistenza cattolica ai vinti della Seconda guerra mondiale. Gli autori ricordano in proposito la durezza del piano del ministro del tesoro americano Morgenthau, che contemplava una spaventosa punizione dell’intero popolo tedesco. Pubblicato nel 1944 sui più importanti quotidiani d’America e Inghilterra, il piano Morgenthau prevedeva la trasformazione della Germania in territorio agricolo e pastorale, previo lo smantellamento di tutte le industrie, e la deportazione di milioni di lavoratori tedeschi nell’Urss. Esso non fu applicato per un ripensamento all’ultimo minuto del presidente Roosevelt. In Italia, nella primavera del ’45, l’esercizio sommario della «giustizia» partigiana, attuato anche a spese del clero (basti ricordare il “triangolo rosso”), confermò il timore, nutrito dalla gerarchia cattolica, che sui vinti e sui loro presunti amici stesse abbattendosi una vendetta esorbitante e cieca.
Come osservano gli autori, le bombe atomiche rovesciate sulle due città giapponesi nelle quali era forte la presenza cattolica, e la feroce gestione dei campi di concentramento, nei quali, durante l’inverno ’44-’45, morirono 800mila prigionieri tedeschi, aumentarono l’apprensione di Pio XII, che fu costretto a denunciare apertamente le ingiustizie dei vincitori, con una chiara condanna dell’uso inumano dell’energia atomica. Senza contare il fatto che i vincitori non nascondevano i loro progetti di vendetta indiscriminata e sadica. Basterebbe ricordare, in proposito, il poeta stalinista Ilia Ehrenburg che esortava i militari dell’Armata Rossa a violentare sistematicamente le bambine tedesche.

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