Nucleare, il dibattito si è già riacceso

12 Set 2011 20:16 - di

Un morto e quattro feriti, il contraccolpo sulla borsa, un grande allarme a livello europeo e l’inevitabile riapertura di un dibattito che si era appena sopito dopo il disastro di Fukushima. Sono le conseguenze dell’incidente che si è verificato ieri nella centrale nucleare di Marcoule, nel sud della Francia. Sono state escluse, invece, ripercussioni in termini di sicurezza.
Erano le 11.45 quando, secondo le prime ricostruzioni, si è verificata un’esplosione in un forno per la fusione dei rifiuti radioattivi metallici. La reazione della Francia, e non solo, è stata immediata: l’Autorità nazionale per la sicurezza nucleare ha istituito un’area di crisi, il ministro dell’Ambiente Nathalie Kosciusko-Morizet è andata a visitare il sito nel pomeriggio, i tecnici hanno fatto sapere nell’arco di pochissime ore che non erano state registrate né fughe radioattive, né contaminazioni fuori dall’impianto. Anche l’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica, ha subito attivato il centro per le emergenze e la Protezione civile italiana fin dai primi momenti si è messa in contatto con la sua omologa francese e preparata alla mobilitazione. Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, poi, ha chiarito che anche di fronte a «notizie confortanti, vengono costantemente verificate le rilevazioni effettuate nel nostro Paese e con particolare riferimento alle regioni del Nord-ovest». Dal punto di vista “tecnico” l’allarme è rientrato cinque ore dopo l’esplosione, quando le autorità francesi hanno decretato «chiuso» l’incidente. È rimasto più che aperto, invece, il dibattito politico che ne è seguito. E che in Italia ha assunto un significato particolare alla luce del recente referendum. L’incidente di Marcoule, infatti, dà corpo a una domanda che molto è stata posta nelle fasi della campagna referendaria: «Che senso ha dire no al nucleare quando siamo circondati dalle centrali altrui?».
In un raggio di 200 chilometri dai nostri confini ci sono 27 gli impianti, mentre i reattori sul territorio dell’Unione sono 160, ai quali vanno aggiunti i cinque svizzeri. Quelli attivi in Francia sono 58 e hanno un’età media di 24 anni. La stessa Marcoule è una centrale di vecchia generazione: è stata la prima costruita Oltralpe. Di più, rivelava ieri il geologo del Cnr, Mario Tozzi, che in questi impianti si verificano circa cento incidenti all’anno, anche se di «piccola portata». Per Tozzi, quindi, «forse anche la Francia, che produce l’80 per cento dell’energia dal nucleare, si dovrà porre il problema della sicurezza». Il problema, in realtà, è europeo e, secondo Fabio Rampelli, proprio l’Italia, proprio per la sua particolare condizione di Paese senza impianti, ha tutte le carte in regola per mettersi alla testa di un intervento internazionale di revisione delle politiche nucleari, che tenga conto anche di quello che Giulio Tremonti ha chiamato il «debito atomico». «Il problema dei rischi – ha ricordato il deputato del Pdl – è solo uno degli aspetti che abbiamo affrontato nella campagna referendaria e comunque ha il suo peso: tutti gli Stati che hanno centrali nucleari convivono con delle autentiche bombe atomiche». Per Rampelli, «l’Italia, alla luce del risultato referendario, non deve limitarsi ad assistere a questa situazione, ma deve intraprendere nei consessi internazionali tutte le iniziative necessarie a rivendicare il diritto alla sicurezza e, quindi, all’attuazione di quegli stress test che furono chiesti all’indomani di Fukushima e di cui non c’è traccia». «L’Italia – ha aggiunto – ha un coefficiente di rischio prossimo allo zero e deve farlo valere, facendo valere anche il fatto che non ha alcun “debito atomico”». Cosa significa? «Che il mantenimento delle centrali nucleari, la loro messa in sicurezza e il loro smantellamento a fine ciclo hanno costi abonormi e i produttori di energia atomica fuggono le loro responsabilità perché altrimenti dovrebbero annoverare, al fianco del debito pubblico e privato, anche quello nucleare». Un punto debole, però, c’è ed è lo stop che ha subito l’Agenzia nazionale per il nucleare dopo il referendum. Non a caso, ieri, sia la Prestigiacomo, sia il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, hanno sottolineato la necessità di renderla subito operativa, nell’ottica di farne anche – ha detto il ministro dell’Ambiente – «un soggetto forte, capace di un’interlocuzione costante con le Agenzie europee».

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